Visualizzazione post con etichetta dawsoneggiamenti. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta dawsoneggiamenti. Mostra tutti i post

venerdì 9 dicembre 2022

Meno male che c'è Maître Gims

Sì, lo so che Simone Cristicchi preferiva Carla Bruni, e infatti mi compare su Spotify, tra le nuove uscite, una canzone dove c'è Carla Bruni.

Mi compare perché è ospite di un singolo di GIMS, che seguo: Demain.

Va be', devo proprio ascoltarla?, mi chiedo. Ma sì, a Natale siamo tutti più buoni...

Tout est devenu clair le jour où tu m'as pris la main
Montré le chemin
Alors j'ai regardé l'univers me sourire
Me dire que tout ira mieux demain

Je serai, je serai là si tu tombes
Je serai, je serai là pour t'attendre
Je serai, je serai là si tu tombes
Je serai là pour t'attendre

Intanto seguo il testo, e penso che non desidererei altro che qualcuna a cui dire parole come queste... Va be', si tratta di fantascienza.

Però con Elisa no, non ce la faccio. Neanche se canta coi Muse.

martedì 29 novembre 2022

Social-compleanni

Riaprire i social - dall'inizio della pandemia ho eliminato le app dal telefono - ormai serve solo a farmi rendere conto del perché si sta meglio senza. Fra le tante ragioni: perché così non si vedono foto di feste di compleanno restandoci male per non essere stati invitati.

Musica del giorno: Toshio Hosokawa - Blossoming.

mercoledì 21 settembre 2022

Che cosa faccio venire in mente?

Alla fine dello scorso agosto venne a trovarmi un amico polacco, e domenica 28 lo portai a Ferrara. Dopo il castello estense, l'idea era di visitare anche la cattedrale o palazzo Schifanoia, ma ben presto ci rendemmo conto che la cosa più interessante era all'aperto. Era l'ultimo giorno del festival degli artisti di strada, e neanche io ci ero mai stato, nonostante sapessi della sua esistenza.

Mentre giravamo da un artista all'altro, io mi imbattei in un ex collega che non vedevo da parecchi anni, il quale mi disse: sai, vedendo tutti questi musicisti pensavo di incontrare proprio te, visto che sei così coinvolto in queste attività...

Caddi dal pero. Eravamo stati colleghi per un anno scolastico, e poi alcuni anni dopo quando io tornai in quell'istituto come commissario esterno di maturità: ci eravamo parlati, ma non così tanto. Forse, nelle conversazioni, avevo raccontato qualcosa del coro dove cantavo; oppure che avevo cominciato a studiare pianoforte da autodidatta.

Ma non pensavo proprio di poter essere associato ad attività musicali. Alla fisica o alla matematica, magari. Oppure alla noia: tante prese in giro a scuola lasciano il segno.

Sono soddisfazioni. E, nel frattempo, ora ho un'insegnante di pianoforte.

Canzone del giorno: Pixies - Vault of Heaven.

venerdì 2 settembre 2022

Bozze

Tante bozze ho trovato, nel pannello di controllo del blog. Post iniziati e mai terminati. A volte una sola riga.

Come i libri che ho iniziato e mai finito; o le serie tv.

Non so se essere contento o preoccuparmi del fatto che quei post saprei perfettamente come concluderli.

giovedì 1 settembre 2022

Tante mezzanotti sono passate

 ... e tra una mezzanotte e l'altra ho continuato a commettere errori. Per giunta, dal momento che 99 volte su 100 a mezzanotte sono ancora sveglio, ciò mi rende ancora più consapevole della cosa. Eccone alcuni, di questi numerosi errori:

  • il pensiero ricorrente di avere sempre bisogno di esprimermi, e di averlo perciò soddisfatto, per tanti anni quanti è durato questo blog, sui social. Sul social dei vecchi, per essere esatti. Che fosse un social da vecchi l'avevo capito molto prima che boomer diventasse un vocabolo di moda: quando i post politici superavano i racconti di vacanze e aperitivi. Se si è giovani, ogni secondo di ogni giornata è dedicato alle boiate; è quando non si apprezza più la serietà delle boiate che ci si perde dietro ai pastoni di Pionati (a proposito, è ancora al TG1 Pionati?). Ecco: da questa digressione capite perché si è trattato di un errore;
  • il pensiero ricorrente di aprire un nuovo blog, dopo averne tenuto uno per parecchi anni e averlo reso più incomprensibile della casa di un accumulatore seriale. Ma di sindrome da accumulo seriale la mia famiglia se ne intende, d'altronde;
  • la passione per i telefilm: che era stata sbattuta in cantina per cause di forza maggiore all'inizio dello scorso decennio; che ogni tanto rigurgitava; che ogni tanto rispolveravo, seppure a malincuore. Troppa la nostalgia delle persone con cui li seguivo ai tempi d'oro; troppa la delusione per aver perduto la persona senza la quale - parole mie, all'epoca - non potevo vivere (e no, non era una fidanzata). Al diavolo: le persone passano. Ma c'era una certa curiosità di rileggere quello che avevo scritto alla chiusura di quel forum sui telefilm dove, all'epoca, passavo più tempo di un adolescente di oggi su TikTok.

Pensavo di aver pure cancellato il mio vecchio blog - o perlomeno reso invisibile - e invece no. Non riuscendo più ad accedere alla "bacheca" dei post - accedevo al mio account Google, selezionavo Blogger e il sistema mi invitava a creare un blog nuovo, come se questo non fosse mai esistito - ho provato a digitare l'indirizzo sulla barra del browser e... sorpresa, il blog era ancora pubblico. Ma non riuscivo ad entrarci come amministratore. Ho dovuto creare un nuovo blog, in modo da avere l'accesso alla piattaforma; ritrovare la bacheca del vecchio blog; eliminare il nuovo blog.

Ci sono un po' di cose da raccontare, ma è ora di pranzare. L'inaspettata abbondante merenda di metà mattina non basta.

Canzone del giorno: Wire - Two People in a Room.


mercoledì 29 gennaio 2014

Il momento di dire basta


Si dice che sia difficile cominciare una cosa, ma che sia molto più difficile finirla.
È stato difficile per Paolo Maldini e per Michael Schumacher; è tuttora difficile per Vasco Rossi e per Eugenio Scalfari.
Ed è difficile anche per me, scrivere la parola fine su questo blog.

Quando leggo di blogger che festeggiano il primo, o il secondo compleblog, mi viene da sorridere. Perché quasi otto anni, diconsi otto anni della mia vita sono stati bloggati qui. A fasi alterne, ma qui io ritorno sempre.

Questo blog ha passato periodi belli. Lo chiamai Senza traccia d'istinto: ero fan del telefilm, al tempo, ed era il primo titolo che mi era venuto in mente. C'erano dei giorni in cui passeggiavo, da solo, e mi immaginavo che in sottofondo ci fosse il tema musicale del telefilm. Non la sigla, bensì quelle quattro battute di pianoforte che fanno da leitmotiv, soprattutto nella prima stagione. Era uno stile di vita, per me.

I primi due anni furono bellissimi. Era il periodo in cui presi la patente, e in cui le mie droghe si chiamavano 24, Lost e Harry Potter. L'indirizzo era ***.blogspot.com: ve lo ricordate? Strinsi molte amicizie, alcune delle quali continuarono, altre andarono a morire, assieme ai rispettivi blog.

Nel 2008, poi, cambiai l'indirizzo, che diventò l'attuale. Lo cambiai perché S., la ragazza con cui fino all'agosto di quell'anno fui fidanzato, lo conosceva, e non volevo che leggesse i miei sfoghi.
Ai miei contatti di allora comunicai il nuovo indirizzo, ma è probabile che non tutti abbiano aggiornato la lista dei preferiti.
Un po' per tale ragione, un po' perché fui impegnatissimo con la tesi, alla quale seguì la depressione post lauream, il blog piano piano si arenò.

Risorse un po' tra la seconda metà del 2011 e il 2012, a seguito della morte di mio padre. Tornò ad essere una valvola di sfogo... ma ormai il declino era avviato.

Non dico che sia declinato il suo autore. Ma il blog, pur essendo una mia creatura, ha una sua vita. E oggi la vita di questo blog è simile a quella di un giocatore di Risiko che ha due territori, non riesce a conquistarne nemmeno uno per prendere la carta, spera che un avversario lo uccida per potersi guardare la TV in santa pace nell'altra stanza, ma non muore mai.

Non nego che, alla fine della fiera, ciò che mi fa soffrire in questo momento sia l'avere pochi commenti. Mi si può dire quello che si vuole: che sono incostante e si fa fatica a seguirmi, che a volte parlo di argomenti che non coinvolgono una grande folla; ma la verità è semplice, e ce l'ha insegnata la fine del socialismo. Il mercato è sovrano, e un blog che non ha commenti non è interessante. Punto.

E se penso a quante ore ho perso per scrivere alcuni post, a quanta minuzia metto, a quanto amore spendo per scrivere... mi viene da piangere. In questi giorni la mia mente era un fiume in piena. Vorrei parlare di tante cose, ma poi penso: ma cosa scrivo a fare, ché tanto non interessa a nessuno?

Mi si potrebbe obiettare che misuro la qualità con il numero di mi piace. Giusta obiezione; allo stesso modo non è giusto giudicare le proprie amicizie dal numero di uscite serali ogni settimana. Tuttavia, stare solo, in casa, il sabato sera, quando avrei voglia di uscire, mi deprime: e sfido chiunque a smentirmi.

Mi si potrebbe consigliare di non spendere tanto tempo per un post, ché non è un romanzo destinato a vincere il Bancarella. Ma io sono sempre stato perfezionista: le brutte copie dei miei temi di italiano erano piene di cancellature, correzioni, aggiunte. Non sono mai riuscito a scrivere velocemente e bene. Per questo su Twitter sono una frana.

Non credo di non essere capace di scrivere, e nemmeno di non avere alcuna wit, che è la mia parola inglese preferita, e che non è né la brillantezza, né lo spirito, né il mordente. Su Facebook, quantomeno tra coloro che conosco anche di persona, ne ho spesso la conferma. Ma evidentemente la cosa non funziona qui: perlomeno, essendo qui da quasi otto anni. Troppe, probabilmente, sono le contraddizioni nelle quali sono caduto - tante, d'altra parte, sono le volte che ho cambiato opinione - e io mi sento come quando incontro ex compagni di classe, che mi guardano pensando di avere ancora di fronte il ragazzino di un'era geologica fa.

Personalmente, non smetterò di scrivere, e questo blog non sarà cancellato, ma con ogni probabilità questo è il suo ultimo post.

A rileggerci, ragazzi, e buona fortuna.

mercoledì 15 gennaio 2014

Storia di Informino

Uno dei pochi periodi che ricordo con piacere, delle ore di italiano alla scuola media, fu quando parlammo dell'informazione: la lettura del quotidiano, le regole di scrittura di un articolo, le differenze tra giornali, radio e televisione nel dare le notizie.

A introdurre il tema fu la Storia di Informino: un breve racconto di un ragazzino che non trascorreva un minuto senza ascoltare le ultime notizie, e il cui sogno era possedere una telescrivente o - miraggio! - un videoterminale in collegamento diretto con le principali agenzie di stampa.


Il racconto voleva essere uno spunto di riflessione sul bombardamento di informazioni che caratterizzava la società di allora; e vi parlo del 1991. Chissà cosa farebbe Informino di fronte alla pagina di Twitter.

Informino non si rilassava mai, preso com'era dal suo desiderio di sapere.
Si parla, oggi, di disabitudine alla lettura lunga; e anche io, vista la rapidità con cui passo da una finestra del pc all'altra, mi chiedo se essa riguardi anche me.
O se non sia, più che altro, la mia sensazione che il tempo stia passando troppo in fretta.

Canzone del giorno: The Merrylees - Turn For The Strange.

martedì 7 gennaio 2014

L'albero della mia vita

Come Padova, che pur mantenendo qualche segno della sua origine paleoveneta, ha un centro storico che rivela la sua prosperità in epoca rinascimentale, al quale sono collegati i quartieri periferici moderni; così la casa dove sono nato, pur mantenendo svariati segni della generazione precedente, ha un solido tronco anni '70, l'epoca dei miei genitori.

È su questo tronco che io ho vissuto infanzia e fanciullezza: è vero che sono nato nel 1979, ma, vuoi perché vivevo in paese, vuoi perché fino al 1986 avevamo un televisore in bianco e nero senza telecomando, vuoi perché i miei genitori non mi hanno mai comprato giocattoli o vestiti che andavano di moda in quegli anni, credo di essere stato influenzato in larga misura dallo spirito del decennio precedente.
È su questo tronco, cioè, che io avrei innestato i miei rami, che sarebbero rimasti slegati dall'attualità finché io non cominciai seriamente la ricerca della mia identità. E non l'avrei cominciata fino, almeno, ai 18 anni.

Il mio tronco, quello che regge la mia vita presente, poggia le radici negli anni successivi al boom economico, ma è stato costruito, fondamentalmente, negli anni a cavallo tra i due secoli. Gli anni in cui a Internet si accedeva con un cd autoinstallante; e i miei allievi non l'hanno nemmeno mai sentito, il suono del modem 56k...


Oggi Umberto Eco scrive alle migliaia di nipotini sparse per l'Italia - e anche ai loro fratelli maggiori, che hanno l'età dei miei allievi - invitandoli a imparare cose a memoria; per allenarla, e per capire il mondo di oggi.

La paura di Eco, la perdita della memoria, io la condivido. E non perché stia diventando il vecchio trombone rompipalle, ma perché veramente, adesso, la memoria è meno utile, nell'immediato.
Perlomeno, fino a qualche anno fa, se avevamo bisogno di un'informazione su Internet, dovevamo raggiungere un pc connesso. Adesso, se non noi, sicuramente un nostro amico o collega ha uno smartphone. Non sono soltanto i maestri che non obbligano più a imparare le poesie a memoria: il punto è che ci serve meno, la memoria.

Nell'immediato, s'intende. Perché, almeno secondo me, le menti brillanti del futuro saranno comunque coloro che impareranno come si è sempre imparato: attenzione, concentrazione... e sì, ritmo e vitalità.


Per questo voglio che il tronco su cui cresceranno i miei figli - e i miei allievi! - attinga il più possibile dalle sue radici passate: ciò che i miei genitori hanno costruito, che hanno costruito per me.

Ah, per la cronaca, io la cavallina storna non l'ho mai imparata.

Canzone del giorno: Ke$ha - Die Young.

lunedì 23 dicembre 2013

Rorate cœli desuper

Dopo aver fatto osservare, a dei miei studenti, che una hit da discoteca che il dj aveva messo alla festa di Natale della scuola - perché la mia scuola è avanti! - era, in realtà, una canzone italiana del '600 cui è ispirato anche l'inno nazionale di Israele, stavo per osservare la strana somiglianza tra We Wish You a Merry Christmas e un passaggio (minuto 1.16) di questo Rorate cœli di Grzegorz Gerwazy Gorczycki:


Mi correggo all'istante: il canto inglese è precedente di almeno un secolo.

Stamattina, a Messa, di fronte alla mia perplessità sui canti liturgici - non di certo da quarta domenica di Avvento - nonché sulla scomparsa dell'introito Stillate, o cieli, dall'alto..., la mia ragazza scherzò su come fosse evidente che canto in una corale. Meglio: come sia evidente che canto in una corale diretta da un maestro che ha studiato canto gregoriano e che, sulla liturgia, è irreprensibile.

Domani potrei faulenzare tutto il giorno, quindi che faccio? Scrivo un messaggio alla responsabile di Manitese per il volontariato in libreria e chiedo di fare un altro turno di pacchetti regalo: mi pare ovvio.

Mi sono riempito di impegni a non finire, da quando papà non c'è più. Cerco di trascorrere meno tempo possibile a casa, perché quando sono a casa mi impigrisco e finisco per non fare niente. E quando non faccio niente mi sento in colpa, e quando mi sento in colpa mi deprimo.

Tanta gente mi chiede come faccio, con un dottorato e il lavoro a scuola, a cantare in un coro, a fare teatro (anche se ho chiesto di avere una parte microscopica, nel prossimo spettacolo), a seguire un corso di ballo folk, ad imparare lingue (da poco ho cominciato con il polacco) e ad avere anche una vita sociale. E io aggiro furbescamente la domanda con la constatazione che, prima o poi, tutto questo lo pagherò con gli interessi.

Mi sono sentito letteralmente a pezzi, queste ultime due settimane. È una sensazione che forse avrei dovuto provare dieci anni fa, all'età in cui normalmente ci si rende conto di non essere onnipotenti. Lorie, la Britney Spears francese, cantava: à 20 ans on est invincible, à 20 ans rien n'est impossible...

Et à trente-quatre?

Canzone del giorno: Rufus Wainwright - Out of the Game.

mercoledì 9 ottobre 2013

Gerontocrazia, fascino, mappe e allievi

A volte penso che l'italica gerontocrazia nasca nel momento in cui, da bambini, ci rimproverano: "Porta rispetto per chi è più vecchio di te!" anche quando il vicino ottantenne se la prende con noi senza motivo.

A volte penso che alcune persone ci affascinano, e poi scopriamo che in un'ora ci hanno già detto tutto.

A volte penso che anche assegnare i colori ai valori di una funzione, per una mappa bidimensionale, possa essere annoverata come attività artistica.


A volte penso che un allievo che, tornando da scuola con te in pullman, ti dice "però, mi piace che lei ci parli di libri e di film!", ti confermi che il tuo è il lavoro più bello del mondo.

Canzone del giorno: Shaka Ponk - I'm Picky.

giovedì 19 settembre 2013

E se fosse il momento di cambiare prospettiva?

Questo post è stato scritto di getto, e senza pensare. Possono esserci idee rivoluzionarie come immani c***ate. Prendetelo per quello che è, tenendo conto che per me è un periodo molto instabile! :-)

Stamattina, il mio coinquilino Niccolò mi parlava dei suoi futuri progetti lavorativi.

Lui è un agente di commercio, lavora in proprio: è intraprendente, pieno di idee, propositivo.
Io sono il suo esatto opposto: anch'io ho molte idee, ma la prospettiva di mettermi in gioco - in altre parole, di perdere soldi - mi terrorizza. Sono consapevole delle mie capacità, eppure tendo a scoraggiarmi e mi spaventano i cambiamenti.

Niccolò mi diceva che sta prendendo piede, in questi anni, una figura lavorativa che è a metà strada tra un dipendente e un socio. Il lavoratore percepisce uno stipendio minimo - volutamente basso - ma partecipa degli utili dell'impresa. Egli è perciò incentivato ad impegnarsi: se l'azienda fattura, può guadagnare anche il doppio di un normale impiegato con le stesse mansioni, e mettere di conseguenza dei soldi da parte per la vecchiaia, visto che il futuro del sistema pensionistico non è di certo roseo.

Alla parola pensione mi prese il panico. La mia età della pensione è lontanissima, è vero: tuttavia, oggi, mi chiedo come un giovane possa essere fiducioso.

"Marco, il mondo sta cambiando."

Ecco.
Se fosse il momento, anziché di angosciarmi, di cambiare prospettiva?
Pensiamoci. I nostri genitori, i nostri nonni... sono cresciuti con l'idea che se fai male vieni punito. Arriva il papà e ti dà le botte. Il Signore ti manda all'inferno.
E se fai bene? Maaaahhh, niente più del tuo dovere.
Anche noi, in fondo, siamo cresciuti in questa mentalità. Almeno, io sì. Si potrebbe obiettare di no, che i ragazzi di oggi crescono in totale lassismo e anarchia. Forse è vero. Ma lo psicologismo imperante - quello, per intenderci, secondo il quale una nota sul diario è una tragedia, e un motivo per suicidarsi - è un tentativo, raffazzonatissimo, di correggere le storture della morale basata sulla punizione.

Quando sento le apologie di Steve Jobs, la rabbia non mi viene soltanto pensando che si sta idolatrando una persona che ha fatto del profitto la sua ragione di vita.Mi sale la rabbia perché sento: ecco, ora questo la gente pretende da me, che io sappia inventarmi. Ma io non so fare niente. Non sono creativo. Io non potrei mai scoprire un teorema: posso solo imparare a dimostrare i teoremi che altri hanno dimostrato.

Quando sento parlare di meritocrazia, non penso a quello che so fare. Penso che ci sono migliaia di persone, magari più giovani di me, che sanno farlo meglio, e io sarò messo alla porta. Meglio una raccomandazione: almeno con quella sto tranquillo. Perché tanti lavoratori stanno in malattia più del dovuto? Forse perché, dopo tante legnate, e ormai sfiduciati, hanno capito dov'è la falla nel sistema, e la sfruttano.

Sii responsabile, oggi, significa: attento a ciò che fai, potresti essere punito. Perché io presumo che tu farai male.

E se io, invece, presumessi che tu farai bene?
Non ti metterò di certo a riparare un impianto elettrico se non sai nemmeno trovare l'interruttore generale. Ma magari sei bravo a disegnare, e io mi dimentico che tu non sappia dov'è l'interruttore generale. Ci sarà pur qualcuno che lo sa, no?

Niccolò, spiegandomi il contratto di associazione in partecipazione - così si chiama - insisteva sul suo essere incentivante per il lavoratore.
Io non me ne intendo di diritto del lavoro, e non so se questo tipo di contratto, di fatto, sia un capestro. Ma l'accento lo pongo sulla parola incentivante.
Tu datti da fare, perché se farai bene guadagnerai! Non: tu datti da fare, perché se farai male ti sbatto fuori.


Ma una mentalità del genere non si può instaurare se innanzitutto non cambiamo noi prospettiva. Forse dovremmo imparare di più dal padre misericordioso, il quale non si domandò se il figlio, dopo il banchetto a base di vitello grasso, gli avrebbe chiesto ancora denaro.

Canzone del giorno: My Dying Bride - The Cry of Mankind.

lunedì 2 settembre 2013

Settembre, e le impronte dei nostri antenati


Dopo la pioggia d'agosto che rinfresca il bosco, il tormentone annualmente ricorrente vuole il vero inizio dell'anno a settembre.
Ci sarebbero tutte le ragioni per farlo: non ultima, il fatto che l'anno scolastico/accademico/sociale già è organizzato così, e non ci sarebbe la rottura di dover scrivere 2013/14.

Tuttavia, mi piace pensare che, come la nostra lingua che come una spugna assorbe parole inglesi, ma le cui fondamenta sono solidamente latine, il nostro tempo ancora viene misurato come lo misuravano gli antichi Romani, dalla semina al raccolto, secondo il ciclo del Sole.

Anche il calendario rivoluzionario francese, pur iniziando a metà settembre, si basava sull'agricoltura.

sabato 18 maggio 2013

Ignorantia vestra, humanitas mea

Gli scatoloni di libri usati, ai mercatini delle pulci o alle sagre paesane, sono i miei preferiti: e non mi riferisco solamente al risparmio.

Mi affascinano, in quegli scatoloni, i tormentoni del passato, i best seller mancati, i saggi di attualità che non è più attualità, i testi scolastici monocromatici dal linguaggio aulico.

Ogni volta che compro un libro usato - da uno scatolone, o su eBay - non mi domando a chi fosse appartenuto, ma perché il precedente proprietario se ne sia disfatto.
Doppione? Ciofeca? Scaffale pieno? Moglie col randello in mano?

Nel caso di un testo scolastico la risposta è fin troppo facile. Anche se, vedendo i testi che campeggiano attualmente negli zaini, mi viene voglia di dare ai miei futuri figli i manuali che ho usato io.
Possiedo una grammatica di greco antico, per il ginnasio. Appartenuto a Marta, la quale, a occhio e croce, non doveva amare granché accenti e spiriti. Se Saffo cantava d'amore, Marta affidava il suo, di amore, alle pagine del manuale della lingua di Saffo.

I saggi di ex attualità sono i volumi più istruttivi di tutti. Ancora più dei "casi letterari" che provocano la stessa reazione del nome di Laura Luca. Ve lo ricordate Christian Jacq? O Michel Rio?


Sono istruttivi da un lato perché la memoria di certe cose non deve essere persa; dall'altro, perché sfogliandone uno ci rendiamo conto di quante cose sono state per qualcuno di noi ragione di litigi epici, di amicizie rotte... e adesso, che fatica anche solo ricordare i nomi! E quanti soldi qualcuno di noi ha speso, per rovinarsi il fegato. Rivaluto i soldi spesi per i vestiti firmati.



Leggo oggi che, a Bari, un uomo è morto e i suoi eredi hanno gettato i suoi libri nel cassonetto, successivamente razziato dai lettori locali.
Non faccio ramanzine sul valore della cultura. Non mi sorprende nemmeno che gli eredi del bibliofilo defunto non abbiano pensato di donare la sua collezione alla biblioteca civica o a una scuola. Una persona capace di gettare dei libri in un cassonetto neanche sa cosa sia, una biblioteca.
Anzi: gettatene di più, magari nei cassonetti sotto casa mia. Ignorantia vestra, humanitas mea.

mercoledì 3 aprile 2013

Horror vacui

Quando, ai ragazzi delle scuole medie, facciamo fare il laboratorio didattico sul moto dei corpi, come prima cosa chiediamo loro di rappresentare il movimento di una persona nella stanza.
Quasi sempre costoro dimenticano di includere le soste.
Quando accade, io ricordo loro che, all'ora di educazione musicale, sicuramente è stato loro spiegato che le pause sono importanti quanto le note.


Il silenzio è vuoto?
No, quando lo cerchiamo e quando una voce, o un rumore, o anche la più bella musica mai scritta lo rovinerebbe irrimediabilmente.

Il silenzio è vuoto quando è il silenzio tra due persone che si incontrano dopo tanto tempo, e che credono di avere molto da raccontarsi, ma non vanno oltre il che stai facendo adesso?

E il silenzio è vuoto anche quando si avrebbe molto da dire, ma o non se ne ha la forza, o non se ne ha il tempo.

Canzone del giorno: Bastille - Pompeii.

sabato 23 febbraio 2013

Evoluzione della vergogna

Per anni, quando incontravo musicisti, mi vergognavo a dire loro che, con tempo e soprattutto soldi a disposizione, mi piacerebbe prendere lezioni di musica. Per paura di sentirmi dire che ormai è tardi, che queste cose bisogna iniziarle da piccoli, e via discorrendo.

Adesso, quando incontro insegnanti, comincio a vergognarmi a dichiarare che il loro è il mestiere dei miei sogni da quando ero ragazzino. Per paura di sentirmi dire che ormai non c'è più posto e che farei meglio a cercarmi un altro lavoro.

Canzone del giorno: Zero Assoluto - Svegliarsi la mattina.

mercoledì 20 febbraio 2013

Adrenalina in corpo

Forse mi mancheranno, le biciclettate alle 4 di notte. Non a seguito di feste o serate con gli Erasmus: quelle al massimo sono alle 2. Queste delle 4, o delle prime luci dell'alba, seguono nottate in ufficio, a terminare dei calcoli oppure lo studio di un articolo (*), oppure, come nell'ultimo caso, la stesura di una relazione.

Chi mi è stato vicino in quest'ultimo mese mi ha sentito spesso lamentarmi. È vero, lo riconosco e mi dispiace se qualcuno si è rotto le scatole. Pensavo, con tesi e laurea, di aver superato certi miei complessi che mi avevano rovinato gli anni di studio; ma il dottorato è un'altra cosa. E forse non fa per me.


Voglio la mia aula, la mia lavagna (di ardesia) e i miei scolari. Io sono felice quando insegno: quando faccio tutorato all'università, quando faccio la guida al museo di Storia della Fisica per le scolaresche, che seguo anche in un piccolo laboratorio didattico sulla caduta dei gravi o sull'elettricità. A scuola, per ora sono riuscito a fare solo un mini-corso di recupero di matematica. Mi hanno chiamato svariate volte per supplenze, ma ciò sarebbe voluto dire interrompere il progetto del dottorato. Ne avevo accettata una, nell'ottobre del 2011 - alla fine, cioè, del mio primo anno di dottorato - ma ho approfittato di un intoppo burocratico per rinunciare, all'ultimo momento: per i lutti di cui tutti voi sapete, non avevo avuto la testa per fare nulla, fino ad allora; avevo accettato per avere un po' più di soldi, ma mi fu fatto grosso modo del terrorismo, facendomi credere che se avessi accettato avrei dovuto lasciare il dottorato.

E sapete cos'è che mi fa più rabbia? Che adesso mi chiamano continuamente per supplenze, mentre nell'anno tra laurea e dottorato non avevo ricevuto nemmeno una convocazione! Tant'è vero che concorsi per il dottorato - dopo aver ripetuto per anni che, una volta laureato, l'università mi avrebbe visto al massimo col telescopio spaziale Hubble - ormai rassegnato all'idea che la scuola fosse un binario morto, e di dover accantonare il sogno che ho da quando ero adolescente.

Non è che non mi piaccia l'attività dello scienziato. Né che non mi piaccia più la fisica, nonostante i miei lamenti di cui al secondo paragrafo di questo post. Il mio era semplicemente l'odio di chi deve fare le cose per forza. Quando vedo un libro di fisica o di matematica, mi viene voglia di leggerlo. Forse ce l'ho, la testa per fare il ricercatore; ma non sopporto più la sensazione di dover sempre dimostrare qualcosa a qualcuno. L'ho provata per tutti gli anni di studio e la sto riprovando adesso. Evitare anche di incrociare, ogni tanto, lo sguardo dei colleghi: perché li vedo più appassionati, più "dentro" l'attività, e quindi più degni di essere chiamati scienziati.

Sto leggendo Le due culture, il famoso pamphlet che Charles Percy Snow pubblicò nel 1963, e vorrei dirgli che non è solo. Nelle prime pagine, lo scienziato (di professione) e scrittore (per hobby) inglese afferma che gli sembra di attraversare un oceano, quando passa dalla compagnia degli scienziati a quella dei letterati.

Gli scherzi del destino: ho protestato per tutti gli anni di scuola per lo strapotere delle discipline umanistiche, anche al liceo scientifico; poi, già al primo anno nelle aule di Fisica, mi sentii fuori posto tra i miei compagni, perché coltivavo svariati interessi al di fuori delle scienze, e non riuscivo a conciliarli. Sto giungendo alla malinconica conclusione che le due culture siano inconciliabili per natura. Ma di questo parlerò un'altra volta.

Voi come vi sentite, o vi sentivate, dopo un esame?
Io facevo sempre grandi progetti, nei giorni immediatamente precedenti: gite, feste, e via discorrendo. E invece, dopo la nuova riga sul libretto, sentivo un gran mal di testa.
Almeno gli ultimi anni non avevo più la paura della matricola, ma sentivo sempre come un'energia pronta a sfogarsi, ma incontrollabile. Come un attacco di iperattività, che mi portava dritto in libreria, a comprare il testo per l'esame successivo.

Stanotte, tornato a casa, l'adrenalina era ancora in corpo e, a letto, inviavo messaggi, e due volte cambiai il libro che tenevo in mano. Per poi crollare dopo due pagine; proprio come con il testo per l'esame successivo.

Oggi pomeriggio mi attende Venezia, e la laurea in lettere di una mia amica. Ho voglia di sentir parlare di qualcosa di diverso, oggi.
Ma qual è stato il mio primo pensiero, al risveglio? Controllare la posta per vedere se il mio supervisore volesse delle correzioni. Ma è ovvio!

Musica del giorno: Johannes Brahms - Sinfonia n. 1.

(*) Stavo per scrivere piuttosto che lo studio di un articolo. Mi sono trattenuto all'ultimo, ma ciò vuol dire che anche io mi sto rassegnando all'idea del piuttosto che con valore avversativo. Triste, molto triste.

mercoledì 30 gennaio 2013

Talebanismi in castigo

Volevo iniziare questo post dicendo che io non riesco ad essere un talebano del congiuntivo.

Innanzitutto perché capisco la ragione per la quale un congiuntivo sbagliato suona "come un gessetto che scricchiola sulla lavagna" - per usare le parole di Valeria Della Valle e Giuseppe Patota, autori di Viva il congiuntivo! (Sperling&Kupfer) - nonostante nel parlato si commettano svariati altri errori grammaticali. E la ragione - su cui il divertente saggio non si sofferma, in verità - è presto detta: un congiuntivo sbagliato colpisce il verbo, sul quale di norma cade l'accento; mentre una preposizione o un articolo sbagliati colpiscono parti del discorso solitamente atone, e passano quindi inosservati.

Volevo cominciare così, ho detto - e fatto - per introdurre i miei talebanismi linguistici: a parte con l'accento e perchè con l'accento grave, ci sarebbero conditio sine qua non e frasi come domani andremo in montagna, a meno che tu non sia troppo stanco. Dicevo, innanzitutto si dice condicio; e quel non nella seconda frase è scorretto, non solo inutile: a meno che significa "se non accadrà questo fatto in particolare". Mi sono addirittura sforzato, qualche anno fa, per eliminare quel non dai miei discorsi.

Ecco: ora scopro non solo che conditio sine qua non è corretto, ma che è anche l'unica forma attestata nella letteratura, dal '500 a oggi.

E che esiste il non pleonastico: una particella negativa che non modifica il significato della frase, ma che può renderla più efficace.


In castigo nell'angolo per saccenza. Ma ugualmente a meno che non... continua a non piacermi.

Canzone del giorno: Roberto Angelini - Gattomatto.

sabato 19 gennaio 2013

Come un Moleskine nuovo

Se siete arrabbiati con me, al prossimo compleanno regalatemi un Moleskine. La versione cartacea degli iPhone: non so scegliere, onestamente, quale dei due oggetti odio di più.

Che male mi hanno fatto i Moleskine? Niente, in verità: non ne ho mai avuto uno. Altri taccuini "eleganti", tuttavia, sì: e ciascuno mi suscitava la medesima sensazione.

Lo tieni in mano, e senti che dovrai usarlo per qualcosa di significativo, non certo per la lista della spesa. Ci scriverai i pensieri che rivoluzioneranno il mondo; o quantomeno quelli che tramanderai ai tuoi pronipoti.

Ecco: aprire la bacheca di Blogger e vedere la data dell'ultimo post più lontana di tre o quattro giorni mi dà la stessa sensazione che mi dà un Moleskine nuovo. La sensazione di dover scrivere qualcosa di importante, perché non scrivo da un po', e solo le star possono permettersi lunghi periodi di silenzio.

Se in altri campi o le cose si fanno bene o tanto vale non farle, non è così, almeno per me, quando si parla di blog. È più benefica una cavolata al giorno che una genialata al mese. Meglio: con la quotidiana cavolata, la mensile genialata è ancora più geniale.

Canzone del giorno: The Vaccines - I Always Knew.

giovedì 6 dicembre 2012

Soldi


Io e mio papà non parlavamo mai di soldi.
Lui aveva sempre voluto non farmi mancare nulla ma, come conseguenza, io non avevo mai saputo nulla della nostra situazione economica.
Se aggiungiamo le mie crescenti preoccupazioni per il mio futuro lavorativo, il risultato fu che quando, per forza di cose, di soldi si parlava, mi montava un'insopportabile nausea. Ogni volta cercavo di sviare il discorso, di rinviarlo a data da destinarsi.

E adesso, quando le scelte sono mie e le preoccupazioni sono decine di volte maggiori, ho decine di volte più la tentazione di fuggire.

Musica del giorno: Salomone Rossi - Rorate caeli desuper.

mercoledì 17 ottobre 2012

Cerco un'orbita di Lissajous

In presenza di due corpi che esercitano forza di gravità, come Sole e Terra, o Terra e Luna, cinque sono i punti in cui un terzo corpo, come un satellite artificiale, può stare in equilibrio.


Piccolo problema: l'equilibrio non è stabile. Ti allontani di poco? Bye bye.
Due dei cinque punti, in verità, possono essere stabili, a seconda del rapporto tra le masse dei primi due corpi; ma non è esattamente come stare seduti su una dura sedia.

Tuttavia, delle orbite quasi periodiche attorno a questi punti si trovano. Ci sono le orbite di Ljapunov, le orbite di Lissajous e le orbite halo. Credo di aver studiato qualcosa del genere, al mio penultimo esame dell'università.

Non cerco un centro di gravità permanente perché non riuscirei mai ad averne uno solo. Non cerco nemmeno un punto di equilibrio stabile: sai che noia restare fermi per sempre? Un'orbita di Lissajous sarebbe l'ideale: a ogni giro cambia un po', e non si stravolge mai.

Canzone del giorno: Nickelback - If Today Was Your Last Day.