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venerdì 17 marzo 2023

Dialoghi con la ZTL

DependeDepende ¿de qué depende?De según como se mire, todo depende

Da più punti di vista, la mia situazione può dirsi privilegiata.

Dal punto di vista delle statistiche mondiali: vivo in un Paese del "nord del mondo", in una delle sue regioni più ricche.

Dal punto di vista della mia comunità: sono figlio di due insegnanti, entrambi estremamente colti; da piccolo, quando internet non c'era, se avevo bisogno di un'informazione non avevo bisogno di andare in biblioteca: libri ed enciclopedie li avevo in casa. O, spesso e volentieri, mi bastava chiedere ai miei.

Tuttavia, non mi sono mai sentito parte della "città bene". Innanzitutto perché il mio Comune di nascita conta meno di 30.000 abitanti, anche se sulla carta è una città - e anche adesso vivo in periferia - e poi perché quella cultura che i miei genitori avevano se l'erano costruita da sé.

Poco più di un mese fa ho avuto una discussione con Moreno (nome di fantasia), studente di ingegneria, a proposito di Elly Schlein, che non era ancora segretaria del PD e, in vista delle primarie, era data per sfavorita. Io non tifavo né per lei né per Stefano Bonaccini, dal momento che delle idee del loro partito non condivido praticamente niente. La discussione con Moreno verteva, in ogni caso, sulla credibilità di Elly Schlein. Come può la figlia di due professori universitari, rampolla di una famiglia di avvocati, magistrati, politici, ambasciatori... rappresentare "il popolo"? sostenevo io.

E Moreno: ma perché la figlia di due docenti universitari non può stare dalla parte dei poveri? Anche San Francesco d'Assisi era ricco di famiglia...

Moreno è ingenuo, ma è un bravo ragazzo. Ed è in buona compagnia, d'altronde: per quanto un milione di votanti alle primarie del PD siano tutt'altro che un numero enorme - almeno pensando agli oltre 4 milioni che parteciparono nel 2005 - di persone che credono che Elly Schlein sarà colei che renderà felice Nanni Moretti ce ne sono.

Oggi, a ora di pranzo, ero in centro a Padova per un'iniziativa del centro universitario. Incontro una signora che conosco, artista e filosofa, e vado a salutarla. Era in compagnia di un giovane collega, Tiberio (altro nome di fantasia). Gilet jacquard con scollo a V, cravatta, giacca di lana cotta, stola bianca: la Padova bene in tutti i suoi stereotipi. Ci presentiamo, e parlando dei rispettivi curricula studiorum, io nomino il corso che ho dovuto frequentare per conseguire l'abilitazione all'insegnamento.

"Ah, l'abilitazione... Me l'hanno regalata," racconta Tiberio.

"In che senso regalata?", chiedo io.

"Eh sì, con il concorso... ho chiesto il part-time, ho chiesto l'aspettativa non retribuita, ma proprio mi tocca insegnare!" La nostra amica comune mi spiega che Tiberio vorrebbe fare il ricercatore universitario: ha già scritto diversi libri.

"Scusami tanto," replico io, "ma non te l'ha ordinato il medico di fare il concorso a cattedra!"

"Il medico no, ma mia madre sì!" esclama Tiberio.

La schizofrenia del giovin signore degli anni '20: è pronto a conquistare il mondo, ce l'ha con i boomer che glielo impediscono, ma guai a disobbedire alla mamma.

Questo dialogo si è svolto in una chiesa, e poco mancava che imprecassi nella casa del Signore. Decine di migliaia di giovani italiani farebbero carte false per essere nella posizione di Tiberio. Nella sua posizione, una banca non ci penserebbe due volte prima di concedergli il mutuo per l'acquisto di una casa, per dire.

Ecco: elevate Tiberio alla kappesima potenza, e otterrete Elly Schlein. Ma ci sarà sempre un Moreno pronto a bersela.

Canzone del giorno: Jarabe de Palo - Depende.

venerdì 9 dicembre 2022

Meno male che c'è Maître Gims

Sì, lo so che Simone Cristicchi preferiva Carla Bruni, e infatti mi compare su Spotify, tra le nuove uscite, una canzone dove c'è Carla Bruni.

Mi compare perché è ospite di un singolo di GIMS, che seguo: Demain.

Va be', devo proprio ascoltarla?, mi chiedo. Ma sì, a Natale siamo tutti più buoni...

Tout est devenu clair le jour où tu m'as pris la main
Montré le chemin
Alors j'ai regardé l'univers me sourire
Me dire que tout ira mieux demain

Je serai, je serai là si tu tombes
Je serai, je serai là pour t'attendre
Je serai, je serai là si tu tombes
Je serai là pour t'attendre

Intanto seguo il testo, e penso che non desidererei altro che qualcuna a cui dire parole come queste... Va be', si tratta di fantascienza.

Però con Elisa no, non ce la faccio. Neanche se canta coi Muse.

giovedì 8 dicembre 2022

Come apprendono i nativi digitali? (1)

(In questo post ripeterò un po' di cose già scritte in Riquadri e pillole; e infatti tale post era ispirato all'esperienza che sto per raccontare.)

All'inizio di quest'anno scolastico, il corpo docente della scuola dove lavoro è stato obbligato a partecipare ad un seminario, dal titolo Come apprendono i nativi digitali?, curato da due giovani psicologhe.

Il mio non è un rimprovero verso chi ha organizzato questa attività. Sono certo che la persona in questione era animata dalle migliori intenzioni. 

Ma la prima cosa da dire è che nativi digitali è un'espressione del marketing, che non ha alcun riscontro nella realtà. A inizio carriera ho insegnato informatica per quattro anni, nel liceo delle scienze applicate (e anche in un istituto professionale): molti studenti restavano delusi, perché erano convinti che, essendo bravi a smanettare col cellulare o coi videogiochi, avrebbero preso ottimi voti senza studiare. Ma soprattutto molti studenti erano totalmente incapaci di utilizzare le più elementari funzioni di un editor di testi: già solo per muoversi all'interno del testo usavano esclusivamente il mouse, con perdite di tempo incalcolabili. Proprio come gli "utonti" più anziani.

Venendo al contenuto del seminario, non c'era assolutamente nulla di nuovo rispetto a ciò che sentivo dire da 25 anni, tanto è il tempo trascorso da quando ho cominciato a leggere materiale sull'insegnamento. Cioè, in sintesi:

  • i ragazzi di oggi sanno molte più cose dei loro genitori, ma la loro conoscenza è più frammentaria: vengono a contatto con molte curiosità, dai video sui social media;
  • complici i soliti cellulari, i ragazzi di oggi tendono a fare tante cose insieme: sono multitasking; pertanto è difficile per loro concentrarsi a lungo su un unico task;
  • la conoscenza frammentaria non costituisce vera e propria cultura; occorre "incasellare" tali frammenti in modo da costruire un tutto organico;
  • la scuola deve assolvere a questo compito: pertanto, l'insegnamento basato sulla lezione frontale è superato; l'insegnante deve essere più che altro un facilitatore.

La battuta più scontata è: care psicologhe, ci dite che dobbiamo smetterla con la lezione frontale, ma quello che ci state facendo in questo momento è una lezione frontale. Più o meno come scrivere su un social che non si deve trascorrere troppo tempo sui social.

25 anni fa non c'erano i furbofoni (termine mutuato da Un uomo in cammino) né i popularia media (una delle due parole era già in latino: ho dovuto fare solo metà lavoro); ma dei ragazzi di allora, cioè di me, si dicevano esattamente le stesse cose. Le cause: i quiz in televisione; le interruzioni pubblicitarie; le riviste per ragazzi con gli angoli delle curiosità; i riquadri colorati sui manuali.

All'epoca, oltretutto, io frequentavo un newsgroup sulla scuola - mamma mia, ancora un po' e si scriveva ancora con la Lettera 22! - e, anzi, mi infervoravo su questi argomenti. Ce l'avevo a morte con la "scuola tradizionale": con gli insegnanti che non valorizzavano le iniziative spontanee degli studenti; la scuola dove se uno studente, in una verifica, diceva qualcosa che aveva imparato in modo "informale", che aveva letto di sua iniziativa... veniva a volte rimproverato dall'insegnante, solerte nel riportarlo sui binari.

In effetti, due episodi della mia carriera scolastica ancora mi pesavano:

  • la mia maestra delle elementari che ci aveva assegnato un problema su un triangolo rettangolo che non era risolvibile senza il teorema di Pitagora, che non avevamo ancora visto. Io lo portai a scuola risolto, e non avevo usato il teorema di Pitagora: poiché le lunghezze dei cateti del triangolo erano date, e non erano maggiori delle dimensioni di un foglio A3, ero stato in grado di disegnarlo in scala 1:1, e avevo poi usato il righello e il goniometro. Mi sarei aspettato un apprezzamento dalla maestra, e invece mi giunse un rimprovero: prima ancora che dicessi come avevo fatto, lei partì in quarta. Certo che l'hai risolto, perché a te hanno già spiegato il teorema di Pitagora! Perché devi sempre metterti in mostra? 
  • il mio insegnante di italiano in quarta liceo, mentre studiavamo la Gerusalemme liberata di Tasso. Avevamo letto il primo e il terzo canto; e io, di mia iniziativa, avevo letto il secondo, quasi come volendo "colmare il buco" - non ho mai amato le "selezioni", neanche se il loro nome vuol dire "raccolta di fiori". Lo nominai, in classe, in un mio intervento dal posto, e fui zittito.
    Non avrei più colmato i buchi. E quando l'insegnante, l'anno dopo, chiese a un volontario di leggere un saggio di Henry Boyd, col cavolo che mi offrii. Volontario, certo: nel senso che fa la volontà dell'insegnante!

E non capivo come mai, su quel newsgroup, i futuri colleghi fossero infastiditi dalle mie parole e rispondessero con sarcasmo.

(continua)

Canzone del giorno: Vistas - My Head Feels Strange.

domenica 27 novembre 2022

Il fisico che c'è in me

Due sere fa, un mio amico stava furiosamente facendo gli ultimi ritocchi a delle formule di struttura di composti organici, per la sua tesi di laurea magistrale in chimica. Doveva consegnare il lavoro entro la mezzanotte.

Ad un tratto, chiese agli altri presenti se avevano un "oggetto piccolo" da dargli. Nessuno ce l'aveva a portata di mano. Così il laureando strappò un pezzettino di carta assorbente da un rotolo che era sul tavolo e lo appoggiò sullo schermo in corrispondenza degli anelli carboniosi. Doveva confrontare le dimensioni degli anelli carboniosi disegnati in due diverse formule.

In quel momento mi accorsi che la tesi l'aveva scritta con Word, usando l'estensione ChemDraw per le formule chimiche.

"Per forza che devi fare così: non usi LATEX!" osservai io. Non avevo mai usato per disegnare formule di chimica organica, ma non avevo dubbi che esistessero dei pacchetti appositi. E infatti esistono: chemfig, xymtex...

Il laureando mi guardò malissimo.

"Lo so, qui emerge il nerd che c'è in me..." aggiunsi.

"No: qui emerge il fisico che c'è in te!" esclamò lui.

(Alle ore 23.09, la tesi fu consegnata.)

 Canzone del giorno: Trois Cafés Gourmands - La vie est fragile.

domenica 13 novembre 2022

Arduino

Come insegnante di fisica, sto partecipando, in questi mesi, ad un corso di aggiornamento sul laboratorio. In sintesi: i relatori propongono a me e ai miei colleghi delle esperienze didattiche, preferibilmente con oggetti di uso comune, facilmente reperibili in commercio; e noi, nelle nostre scuole, dovremmo proporli agli studenti.

Tra l'anno scorso e quest'anno, alcune delle esperienze erano interessanti e divertenti: studiare come decresce il livello dell'acqua in un tubo verticale con un foro in basso (decrescita esponenziale); valutare l'ordine di grandezza della durata dell'impatto di una pallina di gomma con una superficie, quando rimbalza su di essa (sul vetro è dell'ordine dei millesimi di secondo; sul polistirolo espanso è dell'ordine dei centesimi di secondo); usare un LED come rilevatore di luce.

L'altro ieri, l'ultimo incontro cui ho partecipato, che è il primo di una serie di tre incontri, riguardava Arduino. È da quando ho cominciato a insegnare che sento parlare di Arduino (o di Raspberry Pi): sia ora, che insegno matematica e fisica, sia a maggior ragione qualche anno fa, quando insegnavo informatica.

Con Arduino - che, a quanto ho capito, in estrema sintesi è una scheda programmabile collegabile a sensori (di posizione, di luce, di rumore, di temperatura, di pressione...) e attuatori (LED, display, altoparlanti, motori...) - pare che io possa automatizzarmi anche la casa, se lo so programmare. A costo decisamente ridotto rispetto ai sistemi di domotica commerciali. Ma viene molto utilizzato anche per svolgere esperimenti scientifici.

Il costo di una scheda Arduino nonché degli apparecchi ad esso collegabili è decisamente abbordabile. Sul sito ufficiale ora ci sono pure gli sconti in occasione del Black Friday.

E pensavo, mentre il relatore ci faceva provare dei programmi semplici (come attivare un pulsante per accendere un LED, o raccogliere dati di luminosità da un sensore analogico):

se avessi oggi l'età dei miei studenti, sicuramente lo vorrei come regalo di Natale. E ci avrei smanettato alla grande.

Invece, l'altro ieri - e, a dire il vero, tutte le volte che ho sentito nominare Arduino o Raspberry Pi - il mio pensiero ricorrente era: no, troppo complicato. E non voglio perdere le mie giornate, quando magari fuori c'è un sole splendente, a rincretinirmi davanti a della silicaglia.

Il problema è che, magari non davanti a della silicaglia, ugualmente mi rincretinisco. Ecco perché questa sensazione non la vivo affatto come un bene.

Che mi succede?

Canzone del giorno: zebrahead - Licking on a Knife for Fun.

mercoledì 21 settembre 2022

Che cosa faccio venire in mente?

Alla fine dello scorso agosto venne a trovarmi un amico polacco, e domenica 28 lo portai a Ferrara. Dopo il castello estense, l'idea era di visitare anche la cattedrale o palazzo Schifanoia, ma ben presto ci rendemmo conto che la cosa più interessante era all'aperto. Era l'ultimo giorno del festival degli artisti di strada, e neanche io ci ero mai stato, nonostante sapessi della sua esistenza.

Mentre giravamo da un artista all'altro, io mi imbattei in un ex collega che non vedevo da parecchi anni, il quale mi disse: sai, vedendo tutti questi musicisti pensavo di incontrare proprio te, visto che sei così coinvolto in queste attività...

Caddi dal pero. Eravamo stati colleghi per un anno scolastico, e poi alcuni anni dopo quando io tornai in quell'istituto come commissario esterno di maturità: ci eravamo parlati, ma non così tanto. Forse, nelle conversazioni, avevo raccontato qualcosa del coro dove cantavo; oppure che avevo cominciato a studiare pianoforte da autodidatta.

Ma non pensavo proprio di poter essere associato ad attività musicali. Alla fisica o alla matematica, magari. Oppure alla noia: tante prese in giro a scuola lasciano il segno.

Sono soddisfazioni. E, nel frattempo, ora ho un'insegnante di pianoforte.

Canzone del giorno: Pixies - Vault of Heaven.

sabato 10 settembre 2022

Autoreverse

Quando ho riaperto questo blog, all'inizio del mese, la sensazione è stata quella di rientrare in una casa di mia proprietà, dove fossi vissuto per molti anni, e che poi per altrettanti anni avessi lasciato chiusa, senza portare nulla nella nuova abitazione. I mobili e gli oggetti sono là dove ero abituato a vederli; si è depositata molta polvere, ma basta un po' di olio di gomito. Le pareti hanno bisogno di una mano di vernice; il televisore funziona, riceve ancora alcuni canali ma, per molti altri, è necessario risintonizzarlo.


Con l'ascesa dei social, i blog in stile "primi anni 2000", col layout a due (o tre) colonne, senza particolari effetti grafici, sembravano dover subire la stessa sorte che i Buggles, nel 1979, profetizzavano per le "stelle delle radio". Invece, come le radio, anche i blog ci sono ancora, e basta poco per dare ad essi un aspetto semplice ma curato. Di sicuro meno di quanto occorre per ritinteggiare la casa.

La lontananza dai mobili e dagli oggetti ha evidenziato l'inutilità, o l'obsolescenza, di molti di essi. Una casa, per essere viva, deve avere tutto l'indispensabile ma deve avere anche dello spazio libero: è lo spazio per il futuro di chi ci abiterà. È necessaria una spietata cernita, che può anche essere dolorosa.

In effetti ho sempre dovuto fare un grosso sforzo di volontà, per liberarmi di certe cose. Così come per ripulire e rinnovare la lista dei blog che seguo (la barra). Avevo provato ad aggiungerne semplicemente di nuovi, ma il sistema non me lo permette: ottima occasione per ricompilarla da zero.

Così, oggi, diligentemente, ho iniziato a riempire una tabella riassuntiva dei blog che, fino al 2014, seguivo. Una tabella con cinque colonne: nome del blog; indirizzo del blog; data dell'ultimo post; stato del blog (attivo con post frequenti, attivo con post saltuari, on hiatus, non più esistente, spostato, non più pubblico); cosa fare (tenere o cancellare dalla lista). E come quando, traslocando, rovistavo tra le vecchie cose, ho trovato di tutto. I blog che erano attivi nel 2014, che lo sono tuttora e che pubblicano contenuti interessanti: da questi riparto per ricostruire la "rete". I blog che erano attivi nel 2014, che lo sono tuttora ma che non mi spiego come, nel corso degli anni, siano finiti in barra: eliminare senza pietà. Il blog di colei che è stata la mia migliore amica covando rancore: nella lista nera. I blog dove compare un post ogni mese se tutto va bene, o dove l'ultimo post risale al 2018 - a volte è un addio/arrivederci, proprio come il mio - e ai cui autori ero affezionato: tenere, se non altro perché ancora di più è durato il mio hiatus. I blog che ho seguito, commentato, e i cui autori non mi hanno mai degnato nemmeno di una visita: via, via, sciò. Il blog di Giorgio Israel, che da quasi sette anni non è più tra noi, e che fino al 2018 veniva ogni tanto curato dalla moglie Ana Millán Gasca, anch'essa docente universitaria di matematica.

Non ho finito, e in teoria ne avrei ancora abbastanza. In teoria potrei anche fermarmi, visto che mi mancano solo quelli dove neanche compare il titolo dell'ultimo post, in barra. Ma chi mi dice che non ci trovi qualche chicca? Nei negozi di usato, vado sempre alla sezione "meno di 1 euro" ...

Una casa non è rinnovata se non c'è qualcosa di vecchio - la mia iniziativa Foglie sulla neve! Ci stareste per partecipare? - accanto a qualcosa di nuovo. E qui arriva la parte più difficile. Non sono più aggiornato! Ci sono ancora gli widget, come sullo schermo del cellulare? Forse state pensando di me ciò che penserebbe il commesso di un negozio di hi-fi, sentendomi chiedere un'autoradio che, mi raccomando, abbia la funzione autoreverse: mica vorrò girare manualmente la cassetta ogni volta...

Canzone del giorno: Priest - Lonely Mansion.

mercoledì 7 settembre 2022

Le fiabe dei grandi

Luca, mio compagno di stanza dei tempi dell'università, si svegliava con qualsiasi rumore - persino il fruscio delle mie lenzuola quando io entravo o uscivo dal mio letto - ma aveva l'abitudine di addormentarsi con il televisore acceso. Una sera d'estate non volle accendere il televisore, per paura che la luminosità dello schermo attraesse frotte di zanzare, e mi chiese di raccontargli la trama dell'ultimo libro che avevo letto. Dopo pochi minuti non faceva più domande né annuiva...

Io, all'epoca, mi addormentavo leggendo. Infatti, oltre all'usare meno autobus e treni, a farmi ridurre i libri letti è stato anche l'aver recepito la raccomandazione dei dentisti di passare ogni giorno il filo interdentale. Non me lo riesco a passare in bagno: troppo tempo perso. Molto più utile passarselo davanti alla TV o a un video su internet. Col libro ho il problema di girare le pagine: vero che c'è il libro elettronico, ma non mi ci sono mai trovato granché. E, tipicamente, una volta finito di passarmi il filo interdentale sono troppo stanco per leggere. A volte non sto crollando, ma siccome ho la pessima abitudine di andare a letto tardi, mi sento in colpa e mi dico "no no, devo dormire, se pure mi metto a leggere finisco per fare un dritto".

Ma se non prendo sonno c'è poco da fare...

Nel qual caso di solito faccio partire un podcast. Come per Luca, sentir parlare mi rilassa e mi addormento. La rosa purpurea, per esempio: il programma di attualità cinematografiche di Radio 24. Oppure il programma di musica antica della radio di Stato spagnola; o una lezione di musica di Radio3. Oppure, su Spotify, Dear Alice o Demoni urbani. Che puntualmente riascolto, da sveglio, il giorno dopo: l'argomento mi interessa e non mi va proprio di essermelo perso perché dormivo.

Canzone del giorno: Glass Tides - Sew Your Mouth Shut.

domenica 4 settembre 2022

"Ma è evidente che..."

I bambini o ragazzi che scoprono di essere zebre, cioè persone ad alto potenziale cognitivo (v. post precedente), di solito vivono tale scoperta come una liberazione. Finalmente capiscono che quei comportamenti fino ad allora stigmatizzati come "strani", "inadatti" ... non sono dovuti a una loro colpa, bensì a come funziona il loro cervello.

Vale anche per gli adulti, ovviamente, visto che l'alto potenziale cognitivo non scompare con l'età come l'acne.

E una delle peculiarità delle zebre, spesso non compresa, è il prendere tutto alla lettera e non cogliere i sottintesi. Non compresa e, per l'appunto, trattata come un non saper stare con gli altri. Prima di scoprire di essere zebra, pensavo di essere tardo di comprendonio; poco sveglio; cresciuto fuori dal mondo.

Oggi ci rido, ma in situazioni come quella che ora racconterò mi trovavo continuamente, da piccolo.

Domenica pomeriggio. Visita a parenti o amici di famiglia - tipicamente con ottant'anni per gamba - al rientro dalle vacanze.


Parente o amico (con la voce chioccia): "sei stato al mare?"

Io: "sì".

Silenzio.

Il parente o l'amico torna a chiacchierare con i miei, discorrendo di persone o cose di cui io ignoro l'esistenza, e io vado nell'altra stanza a guardare 90º minuto.

Fine della visita, si torna a casa.

Mio papà: "Marco, ma perché fai sempre così? È evidente che se ti chiedono sei stato al mare? si aspettano anche che tu racconti qualcosa..."

Io: "e cosa dovrei raccontare?"

Già: cosa avrei dovuto raccontare? Cosa mai avrei potuto raccontare che avrebbe stimolato veramente il loro interesse, anziché un finto interesse di cortesia? Se l'interesse non fosse stato finto, non avrebbero avuto bisogno di mascherarlo con la voce chioccia.

Io sono una zebra

ma gli juventini non comincino ad esultare: non mi occupo di squadre minori, e al posto del cuore ho un bidone dell'immondizia. Al massimo possiamo parlare degli zebrahead: Playmate of the Year, ve la ricordate? Sono ancora in attività, per la cronaca.

Il primo commento che ho ricevuto dopo gli oltre otto anni di silenzio riguarda l'ultimo post che li ha preceduti, e che li annunciava - o meglio, che annunciava un silenzio sine die

In tale post constatavo la mia difficoltà nel tenere questo blog aggiornato; nel dare ad esso una linea precisa; nel tenere la barra dritta anche nello scrivere un singolo post. E, al contempo lamentavo la mancanza di interazioni.

Sia uno dei commenti che ricevetti all'epoca che il recente commento sopra menzionato, di fatto, mi fanno capire che si tratta di una contraddizione. Se scrivo in modo ingarbugliato non posso aspettarmi che la gente mi stia dietro, giusto? Mettiamoci che sono pure un insegnante...

Il punto, tuttavia, è proprio questo. Il blog, volente o nolente, rispecchia la mente di chi lo scrive, e la mia non è capace di procedere in modo lineare. O magari, opportunamente educata, lo è, ma è contro la sua natura.

Qualche anno fa - durante il lungo silenzio - una mia amica romana mi parlava delle lamentele delle maestre di sua figlia, e io mi sentivo come se fosse nata, anzitempo, la mia reincarnazione: erano esattamente le stesse lamentele che la mia maestra esprimeva a mio padre, quando ero alle elementari. Si distrae sempre; non segue; contesta tutto.

Non molto tempo dopo, la mia amica scoprì che la figlia è ad alto potenziale cognitivo, o plusdotata, o gifted che dir si voglia: e così scoprii anch'io di esserlo.

Nessuno se ne accorse, di me: si diceva solo che ero molto intelligente. Ma quando ero piccolo, perlomeno in Italia e a maggior ragione in un paese, nessuno sapeva di plusdotazione. Ancora oggi, secondo la psicologa Jeanne Siaud-Facchin, autrice di Troppo intelligenti per essere felici?, gli stereotipi sono tanti: "se è addirittura più intelligente della media, che problemi vuoi che abbia?" È sempre Jeanne Siaud-Facchin ad aver coniato, per chi si trova nella mia condizione, l'appellativo di zebra. Perché le zebre non sono mai state addomesticate dall'uomo: e se è l'uomo stesso ad essere una zebra, capite che c'è una contraddizione intrinseca?

Sul pensiero arborescente di una zebra, e sulle conseguenze di ciò, si possono trovare tantissime informazioni in rete e non serve che qui ve le riporti. Ma questo spiega, per esempio, perché un bambino plusdotato vada spesso fuori tema, nei compiti di italiano: se il compito non ha una consegna precisa, le idee si affollano. Spiega perché, delle volte, lo stesso bambino - o lo stesso adulto, visto che la plusdotazione ce la portiamo dietro per tutta la vita! - dia delle risposte che apparentemente incomprensibili a domande semplici. Semplici per chi non è zebra, s'intende.

E questo spiega perché i miei post siano così ingarbugliati.

Quindi, non meravigliatevi: con le contraddizioni ci vivo da sempre. Anzi, io stesso sono una contraddizione!

Canzone del giorno: zebrahead - You Don't Know Anything About Me.

giovedì 1 settembre 2022

Tante mezzanotti sono passate

 ... e tra una mezzanotte e l'altra ho continuato a commettere errori. Per giunta, dal momento che 99 volte su 100 a mezzanotte sono ancora sveglio, ciò mi rende ancora più consapevole della cosa. Eccone alcuni, di questi numerosi errori:

  • il pensiero ricorrente di avere sempre bisogno di esprimermi, e di averlo perciò soddisfatto, per tanti anni quanti è durato questo blog, sui social. Sul social dei vecchi, per essere esatti. Che fosse un social da vecchi l'avevo capito molto prima che boomer diventasse un vocabolo di moda: quando i post politici superavano i racconti di vacanze e aperitivi. Se si è giovani, ogni secondo di ogni giornata è dedicato alle boiate; è quando non si apprezza più la serietà delle boiate che ci si perde dietro ai pastoni di Pionati (a proposito, è ancora al TG1 Pionati?). Ecco: da questa digressione capite perché si è trattato di un errore;
  • il pensiero ricorrente di aprire un nuovo blog, dopo averne tenuto uno per parecchi anni e averlo reso più incomprensibile della casa di un accumulatore seriale. Ma di sindrome da accumulo seriale la mia famiglia se ne intende, d'altronde;
  • la passione per i telefilm: che era stata sbattuta in cantina per cause di forza maggiore all'inizio dello scorso decennio; che ogni tanto rigurgitava; che ogni tanto rispolveravo, seppure a malincuore. Troppa la nostalgia delle persone con cui li seguivo ai tempi d'oro; troppa la delusione per aver perduto la persona senza la quale - parole mie, all'epoca - non potevo vivere (e no, non era una fidanzata). Al diavolo: le persone passano. Ma c'era una certa curiosità di rileggere quello che avevo scritto alla chiusura di quel forum sui telefilm dove, all'epoca, passavo più tempo di un adolescente di oggi su TikTok.

Pensavo di aver pure cancellato il mio vecchio blog - o perlomeno reso invisibile - e invece no. Non riuscendo più ad accedere alla "bacheca" dei post - accedevo al mio account Google, selezionavo Blogger e il sistema mi invitava a creare un blog nuovo, come se questo non fosse mai esistito - ho provato a digitare l'indirizzo sulla barra del browser e... sorpresa, il blog era ancora pubblico. Ma non riuscivo ad entrarci come amministratore. Ho dovuto creare un nuovo blog, in modo da avere l'accesso alla piattaforma; ritrovare la bacheca del vecchio blog; eliminare il nuovo blog.

Ci sono un po' di cose da raccontare, ma è ora di pranzare. L'inaspettata abbondante merenda di metà mattina non basta.

Canzone del giorno: Wire - Two People in a Room.


mercoledì 29 gennaio 2014

Il momento di dire basta


Si dice che sia difficile cominciare una cosa, ma che sia molto più difficile finirla.
È stato difficile per Paolo Maldini e per Michael Schumacher; è tuttora difficile per Vasco Rossi e per Eugenio Scalfari.
Ed è difficile anche per me, scrivere la parola fine su questo blog.

Quando leggo di blogger che festeggiano il primo, o il secondo compleblog, mi viene da sorridere. Perché quasi otto anni, diconsi otto anni della mia vita sono stati bloggati qui. A fasi alterne, ma qui io ritorno sempre.

Questo blog ha passato periodi belli. Lo chiamai Senza traccia d'istinto: ero fan del telefilm, al tempo, ed era il primo titolo che mi era venuto in mente. C'erano dei giorni in cui passeggiavo, da solo, e mi immaginavo che in sottofondo ci fosse il tema musicale del telefilm. Non la sigla, bensì quelle quattro battute di pianoforte che fanno da leitmotiv, soprattutto nella prima stagione. Era uno stile di vita, per me.

I primi due anni furono bellissimi. Era il periodo in cui presi la patente, e in cui le mie droghe si chiamavano 24, Lost e Harry Potter. L'indirizzo era ***.blogspot.com: ve lo ricordate? Strinsi molte amicizie, alcune delle quali continuarono, altre andarono a morire, assieme ai rispettivi blog.

Nel 2008, poi, cambiai l'indirizzo, che diventò l'attuale. Lo cambiai perché S., la ragazza con cui fino all'agosto di quell'anno fui fidanzato, lo conosceva, e non volevo che leggesse i miei sfoghi.
Ai miei contatti di allora comunicai il nuovo indirizzo, ma è probabile che non tutti abbiano aggiornato la lista dei preferiti.
Un po' per tale ragione, un po' perché fui impegnatissimo con la tesi, alla quale seguì la depressione post lauream, il blog piano piano si arenò.

Risorse un po' tra la seconda metà del 2011 e il 2012, a seguito della morte di mio padre. Tornò ad essere una valvola di sfogo... ma ormai il declino era avviato.

Non dico che sia declinato il suo autore. Ma il blog, pur essendo una mia creatura, ha una sua vita. E oggi la vita di questo blog è simile a quella di un giocatore di Risiko che ha due territori, non riesce a conquistarne nemmeno uno per prendere la carta, spera che un avversario lo uccida per potersi guardare la TV in santa pace nell'altra stanza, ma non muore mai.

Non nego che, alla fine della fiera, ciò che mi fa soffrire in questo momento sia l'avere pochi commenti. Mi si può dire quello che si vuole: che sono incostante e si fa fatica a seguirmi, che a volte parlo di argomenti che non coinvolgono una grande folla; ma la verità è semplice, e ce l'ha insegnata la fine del socialismo. Il mercato è sovrano, e un blog che non ha commenti non è interessante. Punto.

E se penso a quante ore ho perso per scrivere alcuni post, a quanta minuzia metto, a quanto amore spendo per scrivere... mi viene da piangere. In questi giorni la mia mente era un fiume in piena. Vorrei parlare di tante cose, ma poi penso: ma cosa scrivo a fare, ché tanto non interessa a nessuno?

Mi si potrebbe obiettare che misuro la qualità con il numero di mi piace. Giusta obiezione; allo stesso modo non è giusto giudicare le proprie amicizie dal numero di uscite serali ogni settimana. Tuttavia, stare solo, in casa, il sabato sera, quando avrei voglia di uscire, mi deprime: e sfido chiunque a smentirmi.

Mi si potrebbe consigliare di non spendere tanto tempo per un post, ché non è un romanzo destinato a vincere il Bancarella. Ma io sono sempre stato perfezionista: le brutte copie dei miei temi di italiano erano piene di cancellature, correzioni, aggiunte. Non sono mai riuscito a scrivere velocemente e bene. Per questo su Twitter sono una frana.

Non credo di non essere capace di scrivere, e nemmeno di non avere alcuna wit, che è la mia parola inglese preferita, e che non è né la brillantezza, né lo spirito, né il mordente. Su Facebook, quantomeno tra coloro che conosco anche di persona, ne ho spesso la conferma. Ma evidentemente la cosa non funziona qui: perlomeno, essendo qui da quasi otto anni. Troppe, probabilmente, sono le contraddizioni nelle quali sono caduto - tante, d'altra parte, sono le volte che ho cambiato opinione - e io mi sento come quando incontro ex compagni di classe, che mi guardano pensando di avere ancora di fronte il ragazzino di un'era geologica fa.

Personalmente, non smetterò di scrivere, e questo blog non sarà cancellato, ma con ogni probabilità questo è il suo ultimo post.

A rileggerci, ragazzi, e buona fortuna.

domenica 19 gennaio 2014

"Un giorno salterà fuori!"

Stanotte ho sognato una cantata in compagnia.
Non chiedetemi perché, perché io detesto le cantate in compagnia. Adoro cantare, ma sono un fottutissimo snob, e le canzoni "che sanno tutti" non le sopporto.
C'erano Andrea e Chiara, miei compagni di liceo. Il primo, musicalmente, me lo ricordo perché con Davide, altro nostro compagno, durante una gita a Perugia cantava da mane a sera Qui comando io di Gigliola Cinquetti.


Chiara, invece, era appassionata di Francesco De Gregori.

Nel sogno, a un certo punto Chiara esclamava: "Facciamo Will, spirit me on!!!" E io, che me la ricordavo, cominciai a cantare.

Su questo torneremo dopo.

L'anno in cui era uscito, avevo visto Notte prima degli esami con una mia amica che, come me, è fan degli a-ha, ed entrambi saltammo sul sedile del cinema non appena vedemmo, nella camera di una delle ragazze, il poster con la copertina di Headlines and Deadlines, il "best of" del gruppo norvegese.

Perché quella raccolta è uscita nel 1991, mentre il film è ambientato nel 1989.

Dal punto di vista musicale, non è di certo per questa svista che il film è criticabile. Lo è per l'intera scelta della colonna sonora. Wishing Well, di Terence Trent d'Arby, è del 1988. The Final Countdown, sulla quale scorrono i titoli di coda dopo l'esilarante scena finale, è del 1986. La canzone che dà il titolo al film è del 1984. Should I Stay or Should I Go è addirittura del 1981!


Nessuno, nel 1989, avrebbe mai ascoltato musica vecchia di otto anni. E nemmeno nel 1997, quando la maturità toccò a me, ad Andrea e a Chiara. (Davide si era trasferito con la famiglia.) Le canzoni storiche, come per l'appunto quelle di Gigliola Cinquetti; oppure i classici, come Francesco De Gregori, non sono mai state da sfigati, ma le hit degli anni delle medie sì.

Il regista Fausto Brizzi, che quando ha realizzato il film aveva 37 anni, non solo era nell'età in cui il passato è un dipinto senza prospettiva, ma avendolo realizzato nel 2006, era pienamente immerso nel "presente dal cuore vintage" .

Si può dire quello che si vuole: aria fritta, questioni di lana caprina per riempire le pagine dei giornali... Sta di fatto che, non più tardi di quattro anni fa, un mio allievo liceale era tutto gasato perché era appena stato a vedere i Green Day e di lì a poco sarebbe andato al concerto dei Blink 182. Mai, a 17 anni, avrei immaginato di potermi ritrovare ad un concerto con un mio professore, nemmeno il più giovane.

E, cosa più importante, io nel presente dal cuore vintage sto benissimo.

Tornando al sogno, io quella Will, spirit me on me la ricordo. Vaghi lampi di memoria: una chitarra elettrica rossa che suonava senza distorsioni nel videoclip, nonché un feat. prima di uno degli interpreti.

Ovviamente la canzone non si chiama così, e nemmeno il testo suona così.
Ma so che, se la canzone esiste - perché, dopo un sogno, una mattina chiesi a mio padre se io, da bambino, fossi mai stato dentro il cestello della lavatrice in funzione, sia chiaro - prima o poi ritornerà.

Come diceva mia zia, quando non si riusciva a trovare un oggetto in casa: un giorno salterà fuori.

mercoledì 15 gennaio 2014

Storia di Informino

Uno dei pochi periodi che ricordo con piacere, delle ore di italiano alla scuola media, fu quando parlammo dell'informazione: la lettura del quotidiano, le regole di scrittura di un articolo, le differenze tra giornali, radio e televisione nel dare le notizie.

A introdurre il tema fu la Storia di Informino: un breve racconto di un ragazzino che non trascorreva un minuto senza ascoltare le ultime notizie, e il cui sogno era possedere una telescrivente o - miraggio! - un videoterminale in collegamento diretto con le principali agenzie di stampa.


Il racconto voleva essere uno spunto di riflessione sul bombardamento di informazioni che caratterizzava la società di allora; e vi parlo del 1991. Chissà cosa farebbe Informino di fronte alla pagina di Twitter.

Informino non si rilassava mai, preso com'era dal suo desiderio di sapere.
Si parla, oggi, di disabitudine alla lettura lunga; e anche io, vista la rapidità con cui passo da una finestra del pc all'altra, mi chiedo se essa riguardi anche me.
O se non sia, più che altro, la mia sensazione che il tempo stia passando troppo in fretta.

Canzone del giorno: The Merrylees - Turn For The Strange.

martedì 7 gennaio 2014

L'albero della mia vita

Come Padova, che pur mantenendo qualche segno della sua origine paleoveneta, ha un centro storico che rivela la sua prosperità in epoca rinascimentale, al quale sono collegati i quartieri periferici moderni; così la casa dove sono nato, pur mantenendo svariati segni della generazione precedente, ha un solido tronco anni '70, l'epoca dei miei genitori.

È su questo tronco che io ho vissuto infanzia e fanciullezza: è vero che sono nato nel 1979, ma, vuoi perché vivevo in paese, vuoi perché fino al 1986 avevamo un televisore in bianco e nero senza telecomando, vuoi perché i miei genitori non mi hanno mai comprato giocattoli o vestiti che andavano di moda in quegli anni, credo di essere stato influenzato in larga misura dallo spirito del decennio precedente.
È su questo tronco, cioè, che io avrei innestato i miei rami, che sarebbero rimasti slegati dall'attualità finché io non cominciai seriamente la ricerca della mia identità. E non l'avrei cominciata fino, almeno, ai 18 anni.

Il mio tronco, quello che regge la mia vita presente, poggia le radici negli anni successivi al boom economico, ma è stato costruito, fondamentalmente, negli anni a cavallo tra i due secoli. Gli anni in cui a Internet si accedeva con un cd autoinstallante; e i miei allievi non l'hanno nemmeno mai sentito, il suono del modem 56k...


Oggi Umberto Eco scrive alle migliaia di nipotini sparse per l'Italia - e anche ai loro fratelli maggiori, che hanno l'età dei miei allievi - invitandoli a imparare cose a memoria; per allenarla, e per capire il mondo di oggi.

La paura di Eco, la perdita della memoria, io la condivido. E non perché stia diventando il vecchio trombone rompipalle, ma perché veramente, adesso, la memoria è meno utile, nell'immediato.
Perlomeno, fino a qualche anno fa, se avevamo bisogno di un'informazione su Internet, dovevamo raggiungere un pc connesso. Adesso, se non noi, sicuramente un nostro amico o collega ha uno smartphone. Non sono soltanto i maestri che non obbligano più a imparare le poesie a memoria: il punto è che ci serve meno, la memoria.

Nell'immediato, s'intende. Perché, almeno secondo me, le menti brillanti del futuro saranno comunque coloro che impareranno come si è sempre imparato: attenzione, concentrazione... e sì, ritmo e vitalità.


Per questo voglio che il tronco su cui cresceranno i miei figli - e i miei allievi! - attinga il più possibile dalle sue radici passate: ciò che i miei genitori hanno costruito, che hanno costruito per me.

Ah, per la cronaca, io la cavallina storna non l'ho mai imparata.

Canzone del giorno: Ke$ha - Die Young.

venerdì 18 ottobre 2013

Io e gli artisti

Era il 15 dicembre 2007.
Diana Tejera, ex voce dei Plastico, tenne un concerto in un bar di Conegliano assieme a Barbara Eramo, che gli appassionati di Sanremo ricordano nel duo Eramo & Passavanti.
Erano trascorsi più di sei anni, dall'estate in cui avvertivo talvolta strani sintomi; io andai da Diana, alla fine dell'esibizione, e le chiesi un autografo sul primo album del suo vecchio gruppo, Sensibile al tatto.
Non dimenticherò mai il sorriso di Diana esplodere davanti a me. Era lei più felice di me!
In quell'istante, tutta la timidezza che fino ad allora avevo provato nei confronti degli artisti morì sul colpo.


Un po' di invidia, in verità, la provo sempre. Perché anche un bambino dell'asilo disegna meglio di me; e perché prendere lezioni di musica è ancora un sogno, per mancanza di tempo e di denaro.
La mia famiglia sarebbe stata felicissima di iscrivermi ad una scuola di musica: mia zia, sorella di mio padre, per un periodo mi martellò affinché studiassi violino, e forse fu per questo che io mi rifiutai sempre, per poi rimpiangerlo e riempirmi di rancore.

Anche se, da quattro anni, recito in una compagnia teatrale amatoriale (stasera andrò in scena!) e da poco più di un anno canto nella schola cantorum del duomo di Padova.

Complice, forse, il fatto che l'invidia spesso è reciproca - perché io capisco la matematica, perché non ho timore di parlare in pubblico... - mi sono sorpreso di me, in questi ultimi anni. Con l'organista Roland Muhr, per esempio. Oppure, sempre parlando di organisti, con James David Christie, che venne un anno fa a suonare a Sant'Antonio Abate.

Non sono mai particolarmente prodigo di complimenti. Con l'artista preferisco parlare delle opere, di come sono state realizzate; a cosa sono ispirate, o magari la difficoltà nell'eseguirle.

Né mi faccio problemi a dire che una certa opera non mi è piaciuta. Non importa chi sia l'artista. Se è un parente o un amico, tanto meglio; sebbene mi ritenga fortunato a vivere a distanza di sicurezza da una cugina di settordicesimo grado che studia canto lirico, in quanto mi imbarazzerebbe assai cercare ogni volta una scusa per zompare gli inviti ad ascoltare Verdi, Puccini o Donizetti che a me, francamente, fanno lo stesso effetto di una tanica di Guttalax.

Ciò non toglie che, quando amici e parenti non vengono ai miei spettacoli, ci rimanga male. Lo so, mi contraddico: ma se non lo facessi, che artista sarei?

Canzone del giorno: Giuseppino del Biado - Fuggi fuggi fuggi (Il Ballo di Mantova).

giovedì 19 settembre 2013

E se fosse il momento di cambiare prospettiva?

Questo post è stato scritto di getto, e senza pensare. Possono esserci idee rivoluzionarie come immani c***ate. Prendetelo per quello che è, tenendo conto che per me è un periodo molto instabile! :-)

Stamattina, il mio coinquilino Niccolò mi parlava dei suoi futuri progetti lavorativi.

Lui è un agente di commercio, lavora in proprio: è intraprendente, pieno di idee, propositivo.
Io sono il suo esatto opposto: anch'io ho molte idee, ma la prospettiva di mettermi in gioco - in altre parole, di perdere soldi - mi terrorizza. Sono consapevole delle mie capacità, eppure tendo a scoraggiarmi e mi spaventano i cambiamenti.

Niccolò mi diceva che sta prendendo piede, in questi anni, una figura lavorativa che è a metà strada tra un dipendente e un socio. Il lavoratore percepisce uno stipendio minimo - volutamente basso - ma partecipa degli utili dell'impresa. Egli è perciò incentivato ad impegnarsi: se l'azienda fattura, può guadagnare anche il doppio di un normale impiegato con le stesse mansioni, e mettere di conseguenza dei soldi da parte per la vecchiaia, visto che il futuro del sistema pensionistico non è di certo roseo.

Alla parola pensione mi prese il panico. La mia età della pensione è lontanissima, è vero: tuttavia, oggi, mi chiedo come un giovane possa essere fiducioso.

"Marco, il mondo sta cambiando."

Ecco.
Se fosse il momento, anziché di angosciarmi, di cambiare prospettiva?
Pensiamoci. I nostri genitori, i nostri nonni... sono cresciuti con l'idea che se fai male vieni punito. Arriva il papà e ti dà le botte. Il Signore ti manda all'inferno.
E se fai bene? Maaaahhh, niente più del tuo dovere.
Anche noi, in fondo, siamo cresciuti in questa mentalità. Almeno, io sì. Si potrebbe obiettare di no, che i ragazzi di oggi crescono in totale lassismo e anarchia. Forse è vero. Ma lo psicologismo imperante - quello, per intenderci, secondo il quale una nota sul diario è una tragedia, e un motivo per suicidarsi - è un tentativo, raffazzonatissimo, di correggere le storture della morale basata sulla punizione.

Quando sento le apologie di Steve Jobs, la rabbia non mi viene soltanto pensando che si sta idolatrando una persona che ha fatto del profitto la sua ragione di vita.Mi sale la rabbia perché sento: ecco, ora questo la gente pretende da me, che io sappia inventarmi. Ma io non so fare niente. Non sono creativo. Io non potrei mai scoprire un teorema: posso solo imparare a dimostrare i teoremi che altri hanno dimostrato.

Quando sento parlare di meritocrazia, non penso a quello che so fare. Penso che ci sono migliaia di persone, magari più giovani di me, che sanno farlo meglio, e io sarò messo alla porta. Meglio una raccomandazione: almeno con quella sto tranquillo. Perché tanti lavoratori stanno in malattia più del dovuto? Forse perché, dopo tante legnate, e ormai sfiduciati, hanno capito dov'è la falla nel sistema, e la sfruttano.

Sii responsabile, oggi, significa: attento a ciò che fai, potresti essere punito. Perché io presumo che tu farai male.

E se io, invece, presumessi che tu farai bene?
Non ti metterò di certo a riparare un impianto elettrico se non sai nemmeno trovare l'interruttore generale. Ma magari sei bravo a disegnare, e io mi dimentico che tu non sappia dov'è l'interruttore generale. Ci sarà pur qualcuno che lo sa, no?

Niccolò, spiegandomi il contratto di associazione in partecipazione - così si chiama - insisteva sul suo essere incentivante per il lavoratore.
Io non me ne intendo di diritto del lavoro, e non so se questo tipo di contratto, di fatto, sia un capestro. Ma l'accento lo pongo sulla parola incentivante.
Tu datti da fare, perché se farai bene guadagnerai! Non: tu datti da fare, perché se farai male ti sbatto fuori.


Ma una mentalità del genere non si può instaurare se innanzitutto non cambiamo noi prospettiva. Forse dovremmo imparare di più dal padre misericordioso, il quale non si domandò se il figlio, dopo il banchetto a base di vitello grasso, gli avrebbe chiesto ancora denaro.

Canzone del giorno: My Dying Bride - The Cry of Mankind.

lunedì 16 settembre 2013

"Tu sei mezzo greco, vero?"

L'anno scorso, ad un incontro in occasione del primo anniversario della scomparsa di mio papà, prese la parola uno dei redattori dell'Azione, il settimanale diocesano al quale mio papà aveva collaborato per più di 35 anni: "Gianfranco, da bravo uomo di cultura, odiava il calcio: il suo sport, infatti, era il ciclismo..."
Io, seduto in terza fila, mi alzai e lo interruppi: "Cosaaaa???"
"Be', inseriva spesso riferimenti a gare di ciclismo, tappe del Giro d'Italia... no?" replicò il giornalista.
"E per forza, con la capa tanta che gli facevo io..."

Mio papà era aggiornato sul ciclismo perché io sono appassionato di ciclismo: fosse stato per lui, sarebbe morto domandandosi perché mai, ogni anno, un uomo vestito di rosa scorrazzi su due ruote per lo Stivale. Eppure, nella redazione dell'Azione, si credeva che mio padre fosse appassionato di ciclismo.

Sempre l'anno scorso, un ragazzo che frequenta la mia stessa comitiva, e che mi aveva sentito conversare in greco con la mia tandem e altri studenti Erasmus dalla Grecia o da Cipro, mi chiese: "Tu sei mezzo greco, vero?"
Io gli risposi che sì, mia madre si chiama Δέσποινα ed è nata a Salonicco. Ma mi domandai se costui non fosse in preda ad una temporanea βλακεία dovuta a troppo κρασί, visto che mi conosceva da almeno sei mesi.


Qualche mese dopo, un cameriere del pub dove ci incontriamo di solito esclamò: "Ma io avevo sempre creduto che tu fossi italiano! Scopro adesso che sei greco!"

Secondo voi, io gli ho detto la verità?

Musica del giorno: Louis Vierne - Sinfonia per organo n. 1.

mercoledì 4 settembre 2013

La mia finestra aperta sull'universo

Quando andavo ai campiscuola, negli anni del liceo, l'ultima sera era dedicata ad una veglia di preghiera. In stile Taizé: con i ritornelli cantati, intervallati da letture bibliche o riflessioni.

Stavamo seduti sull'asfalto, nel vasto cortile di una scuola: il Bearzi di Udine.
Di tanto in tanto un treno, che transitava rapido sui binari a poche decine di metri dall'istituto, rompeva il silenzio; ma era il terzo giorno di camposcuola: ormai non ci facevamo più caso.

Era la metà di giugno, e non ricordo una sera in cui il cielo non fosse stellato.

Ne sapevo abbastanza, di astronomia, per distinguere qualche costellazione. Sapevo che le stelle hanno diverse dimensioni; che stelle che ci appaiono vicine sono in realtà lontanissime; che se ci trovassimo in un diverso sistema stellare tutto avrebbe un diverso aspetto; che guardando il cielo, guardiamo il passato, considerati gli anni che impiega la luce per giungere fin qui.

In quel momento, quel cortile era la mia finestra aperta sull'universo.
Non nel senso dell'universo fisico, ma l'universum latino - il tutto, unito, non diviso - come latini erano i ritornelli che cantavamo.
Gli altri e me con loro. La natura e l'opera dell'uomo. La fede e la scienza.

Non mi illudevo di poter fare tutto o di poter conoscere tutto, ma credevo che la vita eterna, dopo la morte, fosse questo: che esiste l'eternità, e l'eterna gioia, perché infinite sono le cose da scoprire.


venerdì 2 agosto 2013

Stratego-assenteisti giustizieri

Non ho dubbi che alcuni miei compagni di liceo mi abbiano tirato le maledizioni quando, a fronte di una loro richiesta di esercizi di matematica, io non davo loro il semplice risultato ma li ci facevo arrivare passaggio per passaggio. Volevo che non avessero piu' motivo di chiedermeli, in seguito. (Se dico che è da quando ero adolescente che voglio fare l'insegnante, un motivo c'è.)

Rimarcando che non ho mai negato un aiuto, tranne a chi, magari con la benedizione di mammà, bruciava scuola per saltare verifiche, o cercava in altro modo di fare il furbo (e, a lode dei miei compagni, va detto che tali casi erano molto rari), ricordo una conversazione, in treno, in cui da un'elegante signora, con figlia adolescente al seguito, mi sentii dare dello str***o per questa ragione: perché i compiti si passano.

Ora, io non penso che gli italiani siano tutti ignoranti, o potenziali ladri o evasori. Nemmeno quel 29,18% di votanti che, alle ultime elezioni, hanno scelto il PDL. Ma se qualcuno, leggendo i primi due paragrafi, si è identificato nell'elegante signora, o in uno di quei miei compagni cui il mio aiuto è stato negato, e negli ultimi 19 anni ha strepitato che il problema non è Berlusconi, sono gli italiani, sappia che gli sto sonoramente ridendo in faccia.