giovedì 19 settembre 2013

E se fosse il momento di cambiare prospettiva?

Questo post è stato scritto di getto, e senza pensare. Possono esserci idee rivoluzionarie come immani c***ate. Prendetelo per quello che è, tenendo conto che per me è un periodo molto instabile! :-)

Stamattina, il mio coinquilino Niccolò mi parlava dei suoi futuri progetti lavorativi.

Lui è un agente di commercio, lavora in proprio: è intraprendente, pieno di idee, propositivo.
Io sono il suo esatto opposto: anch'io ho molte idee, ma la prospettiva di mettermi in gioco - in altre parole, di perdere soldi - mi terrorizza. Sono consapevole delle mie capacità, eppure tendo a scoraggiarmi e mi spaventano i cambiamenti.

Niccolò mi diceva che sta prendendo piede, in questi anni, una figura lavorativa che è a metà strada tra un dipendente e un socio. Il lavoratore percepisce uno stipendio minimo - volutamente basso - ma partecipa degli utili dell'impresa. Egli è perciò incentivato ad impegnarsi: se l'azienda fattura, può guadagnare anche il doppio di un normale impiegato con le stesse mansioni, e mettere di conseguenza dei soldi da parte per la vecchiaia, visto che il futuro del sistema pensionistico non è di certo roseo.

Alla parola pensione mi prese il panico. La mia età della pensione è lontanissima, è vero: tuttavia, oggi, mi chiedo come un giovane possa essere fiducioso.

"Marco, il mondo sta cambiando."

Ecco.
Se fosse il momento, anziché di angosciarmi, di cambiare prospettiva?
Pensiamoci. I nostri genitori, i nostri nonni... sono cresciuti con l'idea che se fai male vieni punito. Arriva il papà e ti dà le botte. Il Signore ti manda all'inferno.
E se fai bene? Maaaahhh, niente più del tuo dovere.
Anche noi, in fondo, siamo cresciuti in questa mentalità. Almeno, io sì. Si potrebbe obiettare di no, che i ragazzi di oggi crescono in totale lassismo e anarchia. Forse è vero. Ma lo psicologismo imperante - quello, per intenderci, secondo il quale una nota sul diario è una tragedia, e un motivo per suicidarsi - è un tentativo, raffazzonatissimo, di correggere le storture della morale basata sulla punizione.

Quando sento le apologie di Steve Jobs, la rabbia non mi viene soltanto pensando che si sta idolatrando una persona che ha fatto del profitto la sua ragione di vita.Mi sale la rabbia perché sento: ecco, ora questo la gente pretende da me, che io sappia inventarmi. Ma io non so fare niente. Non sono creativo. Io non potrei mai scoprire un teorema: posso solo imparare a dimostrare i teoremi che altri hanno dimostrato.

Quando sento parlare di meritocrazia, non penso a quello che so fare. Penso che ci sono migliaia di persone, magari più giovani di me, che sanno farlo meglio, e io sarò messo alla porta. Meglio una raccomandazione: almeno con quella sto tranquillo. Perché tanti lavoratori stanno in malattia più del dovuto? Forse perché, dopo tante legnate, e ormai sfiduciati, hanno capito dov'è la falla nel sistema, e la sfruttano.

Sii responsabile, oggi, significa: attento a ciò che fai, potresti essere punito. Perché io presumo che tu farai male.

E se io, invece, presumessi che tu farai bene?
Non ti metterò di certo a riparare un impianto elettrico se non sai nemmeno trovare l'interruttore generale. Ma magari sei bravo a disegnare, e io mi dimentico che tu non sappia dov'è l'interruttore generale. Ci sarà pur qualcuno che lo sa, no?

Niccolò, spiegandomi il contratto di associazione in partecipazione - così si chiama - insisteva sul suo essere incentivante per il lavoratore.
Io non me ne intendo di diritto del lavoro, e non so se questo tipo di contratto, di fatto, sia un capestro. Ma l'accento lo pongo sulla parola incentivante.
Tu datti da fare, perché se farai bene guadagnerai! Non: tu datti da fare, perché se farai male ti sbatto fuori.


Ma una mentalità del genere non si può instaurare se innanzitutto non cambiamo noi prospettiva. Forse dovremmo imparare di più dal padre misericordioso, il quale non si domandò se il figlio, dopo il banchetto a base di vitello grasso, gli avrebbe chiesto ancora denaro.

Canzone del giorno: My Dying Bride - The Cry of Mankind.

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