mercoledì 24 febbraio 2010

Almanacco

Sebbene lo sci e tutti gli sport invernali siano visibilmente cambiati, rispetto anche solo a vent'anni fa, le olimpiadi evocano sempre un sentimento antico.
Non tutta la sera/notte è dedicata alle gare, quantomeno per chi deve accontentarsi di mamma Rai; ma anche nelle attese il sentimento antico è in agguato.
Due notti fa, ad un tratto, sobbalzai: dalla tv sentii l'inconfondibile Chanson baladée di Guillaume de Machault, la sigla di Almanacco del giorno dopo.

Da bambino, una delle trasmissioni che non volevo mai perdermi era Che tempo fa - altro che cartoni! - subito prima del Tg1 delle 8; e il più delle volte accendevo il televisore al momento dell'Almanacco del giorno dopo.

Chiunque l'abbia visto, lo considera uno dei gioielli televisivi degli anni '80; io ero troppo piccolo per poter dire di aver imparato qualcosa, tuttavia ricordo bene le effemeridi, il proverbio del giorno, il santo del giorno, Domani avvenne - sempre messa come prima rubrica - e Conosciamo l'italiano? con Cesare Marchi.

Nell'Almanacco - questo è il titolo del programma attualmente in onda su Raidue, da lunedì a venerdì, all'1.50 di notte - non c'è traccia delle stampe di Jacques Callot, che allora accompagnavano la sigla. Le doppie inquadrature dei conduttori - Livio Beshir e Natasha Cicognani - ricordano più Nonsolomoda che una rubrica culturale: mentre la ragazza parlava di un'erba officinale, pareva di guardare una televendita.
Tuttavia, Domani avvenne - non con questo nome, non essendo più un almanacco del giorno dopo - c'è ancora. E, due notti fa, parlava di Georg Friedrich Händel. No, decisamente non posso stroncare il programma. Non sarà l'originale, ma nemmeno io sono più un bambino.

P.S.: e dopo l'Almanacco? Il meteo, e cosa se no?

Canzone del giorno: Delphic - Halcyon.

venerdì 19 febbraio 2010

Io sto con Albert

Quale libro ti rappresenta? , si domanda Facebook.
Il quale mi dà la risposta: I dolori del giovane Werther.

Qualcosa non mi quadra. Non so se esista un personaggio più lontano dalla mia visione della vita di quello creato da Goethe.

Lessi l'opera durante l'estate tra la quarta e la quinta liceo: in letteratura italiana avevamo studiato Foscolo, e per quanto non avessi trovato granché interessante la storia di Jacopo Ortis, ero curioso di sapere quanto si assomigliassero i due romanzi epistolari e i rispettivi protagonisti.

Mi ritengo una persona romantica, nel senso comune della parola. Ma se ciò significa non essere in grado di vivere in questo mondo, essere perennemente insoddisfatti e per giunta non fare nulla per migliorare la situazione... no, questo proprio non mi va. A 16 anni - tanti ne avevo quell'estate - facevo, o avevo fatto parte, della categoria innamorati non corrisposti; alcune frasi mi colpirono, per la sensibilità che da esse traspariva. Non mi sorprenderebbe leggere il commento di un ragazzo o una ragazza di quell'età in cui fosse scritto quelli di Werther (o di Ortis, ndr) sono i sentimenti, non quelli di Ivanhoe! Ma se a scriverlo fosse un mio coetaneo, lo compatirei e basta.

Apro il romanzo a caso. Libro secondo, lettera del 29 luglio:
Io... suo marito? O Dio, che mi hai creato, se tu mi avessi dato questa felicità, tutta la mia vita sarebbe una continua preghiera. [...] Perché no, Wilhelm? Lei con me sarebbe stata più felice che con lui. Ah, lui non è uomo da appagare tutte le aspirazioni di quel cuore. Ha una certa deficienza di sensibilità, un difetto di... prendila come vuoi! ... Il fatto che il suo cuore non palpita in armonia con... oh... con quel tal passo di un caro libro, nel quale il mio cuore e quello di Lotte diventano uno solo [...]
Dunque, vediamo: Lotte dovrebbe essere più felice con Werther che con Albert, il suo fidanzato, perché costui non è emozionato dagli stessi libri che emozionano lei, al contrario di Werther. Come se le emozioni fossero solo quelle provate di fronte all'arte. Ma ci rendiamo conto dell'assurdità di questo ragionamento?

In ogni caso, tra l'innamorato infelice e l'amata felice (con Albert), c'è qualcuno che il suo bottino l'ha portato a casa: l'editore.

Canzone del giorno: Mika - We Are Golden.

sabato 13 febbraio 2010

Ti ricordi... ?

Conversazione in chat, anno 2001:

Tony: Che musica ascolti?
Io: In questo momento sto in fissa con i Muse!
Tony: Pensavo... Ma come si può apprezzare i Muse dopo tutto ciò che di buono è stato fatto in passato?

Conversazione dal vivo, anno 2010:

Io: Andrò sicuramente a uno dei concerti di quest'ultimo tour degli a-ha... Però dovrò risparmiare un po' : già a febbraio vado a vedere i Kasabian, poi a marzo i 30 Seconds To Mars a Milano...
Paola: Che strano: tu ascolti molti gruppi di oggi; io invece vado sempre più indietro!

A differenza dell'amica fior di cactus, alla quale questo post è dedicato, da qualche anno a questa parte le serate tra amici e parenti a base di ti ricordi quella volta che... ? mi provocano un'irresistibile attrazione verso la porta.

La cosa non mi coinvolgerebbe troppo se io fossi un ragazzino, e a tirar fuori i ricordi fossero solo nonni o zii anziani; purtroppo, quando i 30 sono vicini o già passati, tale abitudine si insinua anche nella mia generazione.

Non serve nemmeno essere parenti o amici di vecchia data: basta avere buona memoria musicale, e grazie ad un meccanismo autoalimentante, è vertiginoso il progressivo aumento della frequenza alla quale spuntano hits degli anni delle medie o del liceo.

Intendiamoci: ho ricordi meravigliosi di molti successi anni '90. E non sono necessariamente legati alle feste, ai Grest o in generale agli amici dell'adolescenza: se così fosse, non li riascolterei mai.

Perché è proprio questo che non sopporto. Forse non ho ancora accettato il mio passato: quando ero adolescente avevo un caratteraccio e pochissimi amici - una Rachel Berry al maschile, per i fans di Glee (Vale :-)); e neanche mi sapevo vestire. Sai che è un attimo, che Paola Turci cantò l'anno della mia maturità, mi ricorda la festa a casa di Barbara, dopo gli ultimi orali della nostra classe; il televisore era sintonizzato sul Festivalbar. Fu una serata felice? No, tutt'altro. Fu una serata piena di rimpianti, per aver buttato alle ortiche quel gruppo unito che dapprima eravamo. Fu la tipica chiusura all'insegna del rimaniamo in contatto, già certi che tale proposito non l'avremmo mai mantenuto.

E non è più tempo di rimpianti - meglio: non è mai tempo di rimpianti, ma a volte ci vogliono anni per rendersene conto.

E i momenti veramente felici, come i campiscuola o i Grest? Be', in quel caso è proprio la malinconia che sale. L'oratorio mi manca da morire: credo che se, in chiesa o in altro luogo, si sentisse E la strada si apre non riuscirei a cantarla, per il nodo alla gola.

Ma sono troppo giovane per desiderare di far tornare momenti che, per natura, non possono tornare. Voglio pensare al presente, gente. Perché, per quante possano essere le sue magagne, è l'unico tempo che posso davvero rendere felice.

Canzone del giorno: Snow Patrol - How To Be Dead.

mercoledì 10 febbraio 2010

New Orleans Saints

Domenica sera, reduce da una fantastica giornata tra strade sbagliate, chiacchiere e risate (grazie Vale!), ho guardato il 44º Superbowl.
Mi rendo conto che l'atmosfera non era quella della casa americana consacrata dagli stereotipi: niente camicia a quadri, niente birra né urla verso il televisore. Ma volete mettere la soddisfazione di sentirsi americano per una notte?

Faceva assai strano la sfida tra New Orleans Saints e Indianapolis Colts commentata in italiano - da Valerio Iafrate e Roberto Gotta. Come - presumo - il 99% dei miei compatrioti, ho visto più football sul grande che sul piccolo schermo, e anche ora ho giusto un'idea sommaria delle regole. Ho capito che Peyton Manning è il più grande quarterback di tutti i tempi; certo che l'intercetto di Tracy Porter, che ha portato i Saints alla loro prima vittoria in un Superbowl, è spettacolare anche per un profano!



L'anno prossimo spero di sapere cosa significa chiudere un down; ma anche in caso contrario, se un giorno riuscirò a recarmi negli Stati Uniti, almeno a due cose voglio partecipare, proprio in compagnia di una di quelle famiglie consacrate dagli stereotipi: la festa del Thanksgiving e la visione del Superbowl!

Canzone del giorno: Lady Gaga - Bad Romance.

lunedì 8 febbraio 2010

Pregiudizi coveristici

Nina Zilli sarà tra i partecipanti a Sanremo 2010, la prossima settimana; è già conosciuta, tuttavia, per L'amore verrà, cover di You Can't Hurry Love.
Scopro ora che una versione italiana esisteva già, cantata dalle stesse Supremes che nel 1966 l'avevano incisa per la prima volta. Era facile da immaginare, dal momento che, come racconta chi ha vissuto quegli anni, raramente i successi d'oltre confine giungevano in Italia nella versione originale.

Non sapevo però che Gianni Morandi, a Canzonissima del 1968, avesse presentato una cover. Lo scoprii un mesetto fa, guardando The Boat That Rocked (I love Radio Rock): quando Simon (Chris O'Dowd) sposa Elenore (January Jones) sulla barca, la radio pirata trasmette, per l'appunto, Elenore dei Turtles.

Ecco. Di Scende la pioggia al massimo riconoscevo una melodia gradevole, e invece Elenore mi esalta. Complici troppi varietà televisivi nostalgici di quarta categoria? Oppure anche io sono vittima del pregiudizio verso le canzoni italiane?

In ogni caso, forse è stato meglio che Franco Migliacci abbia adattato il brano della band californiana. Immaginate quanti, altrimenti, al momento del ritornello sarebbero partiti con "e l'energiiiiaaaaa..." ?

mercoledì 3 febbraio 2010

Periodo ipotetico dell'irrealtà

Se nessuno dei miei lettori fosse stato almeno una volta messo in crisi dalla consecutio di un periodo ipotetico dell'irrealtà, sarei nato su un pianeta di bugiardi.

Chissà se esiste una lingua nella quale questa costruzione sia facile; ma non credo. In fondo, gente, il periodo ipotetico dell'irrealtà è fatto per i rimpianti, per i rimorsi, per i piagnistei. È assurdo che così tanta gente si scandalizzi quando sente un congiuntivo sbagliato; dovrebbe rallegrarsi, piuttosto, dell'esistenza di persone cui sono vietati rimpianti, rimorsi e piagnistei.

Se non fossi così timido, ci avrei provato con Chiara e ora forse saremmo insieme. Bello di casa, probabilmente Chiara non ti interessava così tanto se non ci hai provato; e l'unica cosa certa è che non siete insieme.
Se avessi tenuto la lingua a posto, ora Sergio mi parlerebbe ancora. E tu dovevi proprio andare a raccontare a mezzo mondo che lui aveva fatto cilecca?

Non parliamo poi dei periodi ipotetici dell'irrealtà con i verbi modali. Se avessi potuto studiare pianoforte, ora non farei altro che suonare Chopin. Sicuro che fosse veramente un tuo desiderio, che tu non sia solo invidioso degli applausi ricevuti - e meritati - da Alessio?

In tedesco, che io sappia - Fabio, eventualmente correggimi tu da qui in avanti! - il periodo ipotetico dell'irrealtà con un verbo modale si può costruire solo con il doppio infinito. La Lehrerin non ci ha ancora spiegato la regola, ma ha commesso l'errore di portarne un esempio; inevitabile che io me la andassi a guardare. E ormai che il guaio è fatto, vediamo di compierne buon uso, per esempio: wenn ich mich nicht zum Deutschkurs hätte anmelden dürfen, wäre ich weniger glücklich.

Però, che fatica! Le infinitive sono più facili: ich habe schon angefangen, mich weniger über mein Leben zu beklagen!

Canzone del giorno: White Lies - Fifty On Our Foreheads.