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sabato 30 agosto 2008

Cosa (mi) resterà delle Olimpiadi?

La malinconia, che pervadeva il Nido d'Uccello mentre in cima si spegneva la fiaccola, è ormai roba vecchia. Le polemiche per la squinternata copertura televisiva? Affogate nella furia dei calciofili terrorizzati all'idea di non poter vedere, la domenica sera, i gol della propria squadra del cuore. (La cosa non avrebbe fatto piacere nemmeno a me, però giusto qualche domenica, per vedere di nascosto l'effetto che fa...) Manca solo il contro-esodo di questo fine settimana e la (relativa!) ripopolazione del dipartimento di fisica, e tutto sarà tornato alla normalità.

Allora, cosa mi resterà di questi Giochi della XXIX Olimpiade?

Non Michael Phelps che, anzi, mi veniva solo da compatire quando non festeggiava una medaglia d'oro, essendo all'inseguimento del record di Mark Spitz.

E nemmeno Usain Bolt. Non per dare ragione a Jacques Rogge, ma le sue gigionate pre e post-gara le trovo assai urticanti - è lo stesso motivo per cui non ho mai sopportato Valentino Rossi. E, francamente, i suoi record mi hanno emozionato quanto una puntata di Porta a porta.

Non so voi, ma io in una gara cerco lo scontro, la lotta all'ultimo centimetro. Ad Atlanta 1996 Donovan Bailey pure stabilì il record dei 100 m (9" 84), ma con una meravigliosa rimonta su Ato Boldon, partito a razzo. E Michael Johnson, che pure strabiliò tutti con quel 19" 32 sui 200, alle spalle aveva un certo Frankie Fredericks, capace di un 19" 68.

No. Ho tre volti per queste Olimpiadi - uno per ciascuno dei miei sport preferiti: ciclismo, nuoto e atletica - e tutti appartengono ad abitanti del pianeta Terra, probabilmente già caduti nel calcistico oblio.

Sanchez in lacrimeIn ordine cronologico, il primo nome è Samuel Sánchez.
È associato a una piccola delusione - piccola per noi, grande per Davide Rebellin. Ma l'ovetense ha dato una lezione a tutti coloro che lo consideravano un perdente, e le sue lacrime sul podio di Juyong Pass sono bastate per togliermi qualunque senso di colpa per la decisione di non boicottare la visione dei Giochi.

Secondo nome: Rebecca Soni.
Dopo le gare di rana, a queste Olimpiadi, si doveva sentire un solo inno: Advance Australia Fair (musicalmente, uno dei miei preferiti!). E la padrona si chiamava Leisel Jones, 23 anni, primatista mondiale e plurimedagliata alle rassegne iridate di Montréal e Melbourne.
Nei 100 m il copione è perfettamente rispettato. La nuotatrice di Katherine si impone con più di un secondo e mezzo di vantaggio sulla medaglia d'argento: per l'appunto, Rebecca Soni, statunitense d'origine ungherese.
Rebecca Soni e Leisel JonesInvece, nei 200 m, la sorpresa. Soni è nella corsia a destra di Jones, e le si mette subito alle costole. L'australiana probabilmente pensa di scrollarsela di dosso alla seconda vasca, ma Rebecca non molla, anzi guadagna. E nell'ultima vasca sorpassa una Jones sfinita, e come se non bastasse conquista pure il record del mondo: 2' 20" 22.
(Che probabilmente non avrà lunga vita, però insomma...)

Terzo nome: Tia Hellebaut.
Ho detto che in una gara io voglio emozioni; costei, ai mondiali indoor dello scorso marzo, era riuscita a rendere emozionante perfino la più scontata delle conclusioni: quella del pentathlon (l'equivalente al coperto dell'heptathlon). Non che la gara multipla non meriti attenzione, tutt'altro; ma di norma, alla vigilia dell'ultima prova, la capoclassifica è ormai irraggiungibile. Al Luis Puig Palace di Valencia, tuttavia, la britannica Kelly Sotherton si preparava, negli 800 m, a strappare il primo posto all'occhialuta belga, che lo mantenne per appena 15 punti.

Ma torniamo a Pechino. Siamo alla penultima giornata dei Giochi, l'ultima dell'atletica in pista.
Basta fulmini giamaicani; è tempo di raffinatezze: il salto in alto - a causa di un infortunio alla spalla, Tia Hellebaut non può lanciare il giavellotto e quindi partecipare al suo heptathlon.
Anche qui sembra tutto già preordinato. Blanka Vlašić, ventiquattrenne di Spalato, è la numero uno del mondo. La sua tecnica è invidiabile, e non sbaglia una misura. Tia, seconda in classifica e ancora in gara ai 2,05 m, sembra lì giusto per stuzzicarla il tanto che basta affinché attacchi con successo i 2,09 m del primato mondiale.
A Blanka tocca per prima, e sbaglia.
Hellebaut esultaTia no, ed è il sorpasso - oltre che il suo primato. Ma ci sono ancora i 2,07 m.
Blanka è un po' disturbata dalle premiazioni... errore ai 2,07 m.
Tia sbaglia pure.
Blanka è nervosa, e i giudici che le annunciano che ha del tempo in più la infastidiscono ulteriormente. Altro errore.
Tia passa: per Blanka non c'è pausa.
Terzo errore. E in Belgio arriva la prima medaglia d'oro dell'atletica!

Hellebaut festeggia

Non so se l'anno prossimo, ai mondiali di Berlino, Tia sarà ancora sul gradino più alto. Forse la spedizione cinese, per lei, è stata la gara della vita; come lo fu quella ateniese per Kelly Holmes.
Ma è difficile che un atleta che vince in questo modo, e a 30 anni compiuti, si monti la testa. Comunque vada, Tia resterà sul pianeta Terra; e per questo la potrò continuare a tifare.

Canzone del giorno: The Strokes - You Only Live Once.

sabato 22 dicembre 2007

4ª d'Avvento (Da viola a rosso) - contiene In spiaggia all'alba (8)

corona avvento grande
Perché spendete denaro per ciò che non è pane,
il vostro patrimonio per ciò che non sazia?
Su, ascoltatemi e mangerete cose buone
e gusterete cibi succulenti. (Isaia 55, 2)
Ci sono due cose che voglio fare, in altrettanti prossimi Natali.
Per una l'invito a chi voglia aggregarsi è già aperto: recarmi in un paesino in Austria, con la neve e con Stille Nacht in lingua originale.

L'altra è un'iniziativa che già diverse parrocchie intraprendono: organizzare il pranzo di Natale per chi, nel quartiere, è solo. Senza limite minimo di età.

Ho passato da tempo - e mi era durato pochissimo - il periodo in cui il Natale è la fiera dell'ipocrisia, però lo ammetto: una volta, anzi due, il 25 dicembre lo vorrei trascorrere al di fuori della ritualità familiare.
Quest'anno, per fare il regalo ad una coppia - parenti ignoti - ero completamente senza idee. È una sensazione che detesto; ma d'altronde come fanno a venirmi idee quando i destinatari non si fanno mai vivi e nelle poche occasioni d'incontro non lasciano trapelare nulla di proprio?
Perché, oltretutto, io i regali "convenzionali" (portafogli, cravatte, sciarpe, penne) non li faccio. Attenzione e fantasia, le parole d'ordine.
Dall'Austria tornerò senz'altro, e con i regali. Magari rimango per le gare femminili di sci che tradizionalmente lì si svolgono tra Natale e Capodanno: fino all'anno scorso a Semmering, quest'anno a Lienz.

Ecco: se alla fine della fiera il Natale non l'ho mai odiato, sto cominciando seriamente a odiare il calcio. Ieri a Sankt Anton si svolgeva una bellissima discesa libera femminile, e dopo le prime atlete la diretta è interrotta per i sorteggi di Champions' League!
Cioè: in pista c'era Kelly Vanderbeek, la canadese che alla fine sarebbe risultata seconda, o Nadia Styger, la migliore delle prove; e noialtri appassionati dovevamo sperare che i signori dell'Uefa non facessero come Amadeus per annunciare il tabellone degli ottavi di finale!
Ma forse sono io che sono strano, visto che l'estate scorsa non mi sarei tagliato le vene se non avessi ascoltato i sorteggi dei gironi, preferendo (le parole sono di Brando, un amico e collega di mio cugino) fomentarmi per il salto in lungo; poco importa che Andrew Howe abbia rischiato di fare il colpaccio a Osaka. (Ah, a proposito: per il solito mio zio gli atleti sono degli sfigati.)

Dal viola sono arrivato al rosso perché, da 12 anni, nello sci questo è il colore del pettorale riservato al capoclassifica di specialità. Gli strani scherzi del destino: prima dell'inizio della stagione mi veniva spesso in mente il nome di Thomas Vonn, ex sciatore statunitense; e ora il pettorale rosso della discesa libera è sulle spalle di Lindsey C. Kildow, che con lui si è sposata ed è iscritta alla Federazione come Lindsey Vonn.

Canzone del giorno: Editors - All Sparks.