giovedì 28 febbraio 2013

La colonna sonora della vita: Tour de France 1994

Durante il Tour de France del 1994, Gino Bartali compì 80 anni, e come sottofondo al servizio televisivo dedicato alla sua festa, ovviamente fu scelta Bartali di Paolo Conte.

L'avrei persino cantata in corriera, due anni dopo. In gita con la scuola verso l'Umbria. Altro che bionde trecce: con il mio compagno Guglielmo si faceva sul serio.


Oh, quanta strada nei miei sandali,
quanta ne avrà fatta Bartali,
quel naso triste come una salita,
quegli occhi allegri da italiano in gita...
E i francesi ci rispettano
ché le balle ancora gli girano,
e tu mi fai: "Dobbiamo andare al cine!"
... e vai, al cinema vacci tu!

Zazzazzaraz,
zazzarazzaz,
zazzazzarazara za za zaz!

Questo post partecipa all'iniziativa di Attimi di Letizia.

sabato 23 febbraio 2013

Evoluzione della vergogna

Per anni, quando incontravo musicisti, mi vergognavo a dire loro che, con tempo e soprattutto soldi a disposizione, mi piacerebbe prendere lezioni di musica. Per paura di sentirmi dire che ormai è tardi, che queste cose bisogna iniziarle da piccoli, e via discorrendo.

Adesso, quando incontro insegnanti, comincio a vergognarmi a dichiarare che il loro è il mestiere dei miei sogni da quando ero ragazzino. Per paura di sentirmi dire che ormai non c'è più posto e che farei meglio a cercarmi un altro lavoro.

Canzone del giorno: Zero Assoluto - Svegliarsi la mattina.

venerdì 22 febbraio 2013

La (mia) versione di Oscar

Ammetto che la parte del programma di FARE per Fermare il declino relativa all'istruzione non mi dispiace poi così tanto. Sarebbe quantomeno una scossa, nel carrozzone della scuola italiana, nella quale peraltro io desidero lavorare.

Nondimeno, mi era bastato sapere che Oscar Giannino aveva sostenuto la privatizzazione dell'acqua, per decidere di non votare il suo partito.


Oscar aveva le sue idee, che spesso non condividevo. Ma lo ascoltavo volentieri, quando lo beccavo alle nove in punto, in radio. Gli riuscivo a perdonare persino il passato berlusconiano, rendendomi conto che solo su un quotidiano dichiaratamente di destra Oscar avrebbe potuto esprimere le sue idee ultraliberiste.

Adesso, pare che il nuovo sport nazionale sia scaglia anche tu una pietra contro Oscar.
Ma io non riesco ad avercela con lui. Anzi, meglio: non riesco a non stare dalla sua parte.

Radio 24 l'ha voluto nella sua scuderia. Io forse pecco di ingenuità, ma non credo che un gruppo editoriale la cui forza è la competenza in ambito economico si affiderebbe al primo giullare che passa. Se l'ha preso, vuol dire che i suoi studi da autodidatta e la sua esperienza avevano funzionato.

Adesso, coloro che prima elogiavano Oscar in quanto "vero liberale, moderno antistatalista" si precipiteranno a cancellare il suo nome. Come non fosse mai esistito. Come quel Franco Fiorito che prima gettava le monetine a Craxi e poi si sbafava a spese della Regione Lazio.

Come Luigi Zingales.

È ora di dire le cose come stanno. A me, il buonismo all'italiana, in fondo in fondo, un po' piace. Quando i ministri tedeschi Schavan e Guttenberg furono costretti a dimettersi per aver copiato parti delle loro tesi di dottorato, il mio pensiero è stato esagerati! E soprattutto, chi dice alla maestra che è stato il compagno coi riccioli biondi in ultima fila a metterle la fialetta puzzolente nella borsa è una spia. E va punito con una fialetta puzzolente in testa.

Luigi Zingales è stato, con Oscar, tra i fondatori di FARE per Fermare il declino la scorsa estate. I due si conoscevano.
Sulla pagina di Wikipedia dedicata al giornalista torinese, da due anni si discuteva sull'effettiva esistenza dei suoi titoli accademici.
Ora, le mie saranno solo illazioni, ma vorreste darmi a bere che a Luigi, dalla scorsa estate ad oggi, non era mai giunta nemmeno una voce in proposito?
E vorreste darmi a bere, inoltre, che Oscar sarebbe stato così ingenuo da millantare un master conseguito nella stessa università dove insegna Luigi?

E ancora, nel programma del partito non c'è l'abolizione del valore legale del titolo di studio?
Allora quella di Oscar era una marachella, dai. Il prezzo da pagare, per farsi strada in un mondo intellettuale dove la laurea è tutto. A casa mia, dove gli autodidatti godono della massima ammirazione, è quando si è in difficoltà che si imbocca la strada del lei non sa chi sono io, con conseguente snocciolamento di titoli accademici. Nel resto del Paese, no.

Lo scorso gennaio, ho conosciuto Luigi Miraglia, fondatore e direttore dell'accademia Vivarium Novum, a Castel di Guido. Un'accademia, appena fuori Roma, dove ogni anno una trentina di ragazzi, provenienti da tutto il mondo, studiano lingua e letteratura italiane, latine e greche seguendo tutte le lezioni in latino, e utilizzando il latino come lingua franca, come gli antichi umanisti.
Mi ha detto che più volte sono stati invitati, in accademia, docenti universitari di lettere classiche. Hanno accettato l'invito in pochissimi; e nessuno, nella comitiva dei compagni di corso della mia ragazza - laureata in Lettere classiche con una tesi sul personaggio di Giocasta - sapeva dell'esistenza di quest'accademia. Lo sapevo io, dottorando di Fisica - perché ne avevo letto, di sfuggita, su un quotidiano.

Non mi ha dato, Miraglia, una spiegazione del perché l'accademia sia tanto snobbata. Ma non è difficile immaginarlo: Miraglia non è un autodidatta, ma utilizza un metodo, per lo studio delle lingue classiche, completamente diverso da quello in uso nella scuola e nell'università italiane. Diverso dal "metodo tradizionale" : che tanto tradizionale non è, essendo stato introdotto dai filologi tedeschi neanche due secoli fa.

Accorgersi dei titoli millantati da Oscar a quattro giorni dalle elezioni. Un tempismo eccezionale, quello di Zingales. Ma io sono maligno se già me lo immagino sottosegretario, o consulente con contratto a sei zeri - giusto per non dare nell'occhio - nel prossimo governo, nevvero?

Canzone del giorno: Olly Murs feat. Flo Rida - Troublemaker.

giovedì 21 febbraio 2013

La colonna sonora della vita: Sanremo 2001

Mi rompe, quando non riesco a seguire Sanremo. È una tradizione: da quando avevo 6 anni e a condurlo era Loretta Goggi, il mio mito televisivo delle elementari. Per alcuni anni compilavo anche la pagella, con giudizi circostanziati - e dove Enrico Ruggeri finiva sempre per prendere almeno 9.

Il Festival di Sanremo era il luogo dove le Anne Oxe, i Peppini di Capri e le Syrie facevano i "grandi ritorni" : da ripetere all'edizione successiva, visto che già il giorno dopo nessuno ricordava le canzoni che avevano presentato.

La settimana del Festival di Sanremo era quella in cui smettevo i panni dell'hipster e avidamente leggevo TV Sorrisi e canzoni.

Ma, a dire il vero, non li smettevo proprio tutti. E le canzoni che ricordo più volentieri, di Sanremo, sono quelle di cui il telespettatore medio dice ma chi lo conosce? Spesso sono opera delle "nuove proposte" , che poi si rivelano meteore.

È stato un po' difficile scegliere la canzone da proporvi oggi, amici lettori. Perché di chicche ne ricordo tantissime, e ognuna ha il suo posto. Ho scelto Ho vinto un viaggio, cantata dall'allora diciannovenne Riky Anelli nel 2001 perché se altre, bene o male, hanno avuto una seppur minima risonanza, questa proprio è nata e morta sul palco dell'Ariston.

Giuro che ho bisogno di te
o amici come prima se no...

Sei lì, in fondo al cuore,
c'è un'onda che... sale.
Sei lì, oh Sally
guarda che il mare ci porta in là...

Questo post partecipa all'iniziativa di Attimi di Letizia.

mercoledì 20 febbraio 2013

Adrenalina in corpo

Forse mi mancheranno, le biciclettate alle 4 di notte. Non a seguito di feste o serate con gli Erasmus: quelle al massimo sono alle 2. Queste delle 4, o delle prime luci dell'alba, seguono nottate in ufficio, a terminare dei calcoli oppure lo studio di un articolo (*), oppure, come nell'ultimo caso, la stesura di una relazione.

Chi mi è stato vicino in quest'ultimo mese mi ha sentito spesso lamentarmi. È vero, lo riconosco e mi dispiace se qualcuno si è rotto le scatole. Pensavo, con tesi e laurea, di aver superato certi miei complessi che mi avevano rovinato gli anni di studio; ma il dottorato è un'altra cosa. E forse non fa per me.


Voglio la mia aula, la mia lavagna (di ardesia) e i miei scolari. Io sono felice quando insegno: quando faccio tutorato all'università, quando faccio la guida al museo di Storia della Fisica per le scolaresche, che seguo anche in un piccolo laboratorio didattico sulla caduta dei gravi o sull'elettricità. A scuola, per ora sono riuscito a fare solo un mini-corso di recupero di matematica. Mi hanno chiamato svariate volte per supplenze, ma ciò sarebbe voluto dire interrompere il progetto del dottorato. Ne avevo accettata una, nell'ottobre del 2011 - alla fine, cioè, del mio primo anno di dottorato - ma ho approfittato di un intoppo burocratico per rinunciare, all'ultimo momento: per i lutti di cui tutti voi sapete, non avevo avuto la testa per fare nulla, fino ad allora; avevo accettato per avere un po' più di soldi, ma mi fu fatto grosso modo del terrorismo, facendomi credere che se avessi accettato avrei dovuto lasciare il dottorato.

E sapete cos'è che mi fa più rabbia? Che adesso mi chiamano continuamente per supplenze, mentre nell'anno tra laurea e dottorato non avevo ricevuto nemmeno una convocazione! Tant'è vero che concorsi per il dottorato - dopo aver ripetuto per anni che, una volta laureato, l'università mi avrebbe visto al massimo col telescopio spaziale Hubble - ormai rassegnato all'idea che la scuola fosse un binario morto, e di dover accantonare il sogno che ho da quando ero adolescente.

Non è che non mi piaccia l'attività dello scienziato. Né che non mi piaccia più la fisica, nonostante i miei lamenti di cui al secondo paragrafo di questo post. Il mio era semplicemente l'odio di chi deve fare le cose per forza. Quando vedo un libro di fisica o di matematica, mi viene voglia di leggerlo. Forse ce l'ho, la testa per fare il ricercatore; ma non sopporto più la sensazione di dover sempre dimostrare qualcosa a qualcuno. L'ho provata per tutti gli anni di studio e la sto riprovando adesso. Evitare anche di incrociare, ogni tanto, lo sguardo dei colleghi: perché li vedo più appassionati, più "dentro" l'attività, e quindi più degni di essere chiamati scienziati.

Sto leggendo Le due culture, il famoso pamphlet che Charles Percy Snow pubblicò nel 1963, e vorrei dirgli che non è solo. Nelle prime pagine, lo scienziato (di professione) e scrittore (per hobby) inglese afferma che gli sembra di attraversare un oceano, quando passa dalla compagnia degli scienziati a quella dei letterati.

Gli scherzi del destino: ho protestato per tutti gli anni di scuola per lo strapotere delle discipline umanistiche, anche al liceo scientifico; poi, già al primo anno nelle aule di Fisica, mi sentii fuori posto tra i miei compagni, perché coltivavo svariati interessi al di fuori delle scienze, e non riuscivo a conciliarli. Sto giungendo alla malinconica conclusione che le due culture siano inconciliabili per natura. Ma di questo parlerò un'altra volta.

Voi come vi sentite, o vi sentivate, dopo un esame?
Io facevo sempre grandi progetti, nei giorni immediatamente precedenti: gite, feste, e via discorrendo. E invece, dopo la nuova riga sul libretto, sentivo un gran mal di testa.
Almeno gli ultimi anni non avevo più la paura della matricola, ma sentivo sempre come un'energia pronta a sfogarsi, ma incontrollabile. Come un attacco di iperattività, che mi portava dritto in libreria, a comprare il testo per l'esame successivo.

Stanotte, tornato a casa, l'adrenalina era ancora in corpo e, a letto, inviavo messaggi, e due volte cambiai il libro che tenevo in mano. Per poi crollare dopo due pagine; proprio come con il testo per l'esame successivo.

Oggi pomeriggio mi attende Venezia, e la laurea in lettere di una mia amica. Ho voglia di sentir parlare di qualcosa di diverso, oggi.
Ma qual è stato il mio primo pensiero, al risveglio? Controllare la posta per vedere se il mio supervisore volesse delle correzioni. Ma è ovvio!

Musica del giorno: Johannes Brahms - Sinfonia n. 1.

(*) Stavo per scrivere piuttosto che lo studio di un articolo. Mi sono trattenuto all'ultimo, ma ciò vuol dire che anche io mi sto rassegnando all'idea del piuttosto che con valore avversativo. Triste, molto triste.

venerdì 15 febbraio 2013

Sciopero bianco

Mi giunge voce che, come forma di protesta contro le varie riforme scolastiche, gli insegnanti boicottino le uscite: niente visite guidate e via discorrendo. Bravi, futuri colleghi: protestate. Poi tornerete a casa biliosi perché i vostri ragazzi - quei minorati! - non si accorgono nemmeno di ciò che sta sotto il loro naso, anche perché voi vi guardate bene dal farlo loro notare; però mi raccomando, protestate.

Canzone del giorno: Baustelle - I mistici dell'Occidente.

giovedì 14 febbraio 2013

La colonna sonora della vita: inverno 2010

Oggi che si festeggiano i SS. Cirillo e Metodio - che? dite che c'è anche un altro santo? io non ne so niente... - vescovi di Salonicco, inventori dell'alfabeto glagolitico, variante del greco e antenato del moderno cirillico, per la diffusione delle Sacre Scritture tra le popolazioni di lingua slava, cosa c'è di meglio di una bella canzone russa?

Tutti la conosciamo. Noi, come Fischia il vento. I nostri genitori, come Casatschok. I greci, come ο Ύμνος του ΕΑΜ. I finlandesi. I cinesi. Gli ungheresi.

Io la conosco a memoria, in russo. Di ritorno da un pellegrinaggio a Torino, nel 2010, per l'ostensione della Sindone, una studentessa di russo, saputolo, mi pregò di cantargliela. Mi disse che ho una bella pronuncia!
E, in effetti, adoro cantarla. So di cosa parla solo perché ho letto la traduzione, ma adoro come suona la lingua russa. È per questo che, un anno e mezzo fa, mi ero iscritto a quello pseudo-corso di russo, poi rivelatosi una sòla.

Della canzone, vi propongo la mia versione preferita, realizzata dalla violinista estone Camille e dal suo gruppo.


Расцветали яблони и груши,
Поплыли туманы над рекой;
Выходила на берег Катюша,
На высокий берег, на крутой.
Questo post partecipa all'iniziativa di Attimi di Letizia.