mercoledì 29 gennaio 2014

Il momento di dire basta


Si dice che sia difficile cominciare una cosa, ma che sia molto più difficile finirla.
È stato difficile per Paolo Maldini e per Michael Schumacher; è tuttora difficile per Vasco Rossi e per Eugenio Scalfari.
Ed è difficile anche per me, scrivere la parola fine su questo blog.

Quando leggo di blogger che festeggiano il primo, o il secondo compleblog, mi viene da sorridere. Perché quasi otto anni, diconsi otto anni della mia vita sono stati bloggati qui. A fasi alterne, ma qui io ritorno sempre.

Questo blog ha passato periodi belli. Lo chiamai Senza traccia d'istinto: ero fan del telefilm, al tempo, ed era il primo titolo che mi era venuto in mente. C'erano dei giorni in cui passeggiavo, da solo, e mi immaginavo che in sottofondo ci fosse il tema musicale del telefilm. Non la sigla, bensì quelle quattro battute di pianoforte che fanno da leitmotiv, soprattutto nella prima stagione. Era uno stile di vita, per me.

I primi due anni furono bellissimi. Era il periodo in cui presi la patente, e in cui le mie droghe si chiamavano 24, Lost e Harry Potter. L'indirizzo era ***.blogspot.com: ve lo ricordate? Strinsi molte amicizie, alcune delle quali continuarono, altre andarono a morire, assieme ai rispettivi blog.

Nel 2008, poi, cambiai l'indirizzo, che diventò l'attuale. Lo cambiai perché S., la ragazza con cui fino all'agosto di quell'anno fui fidanzato, lo conosceva, e non volevo che leggesse i miei sfoghi.
Ai miei contatti di allora comunicai il nuovo indirizzo, ma è probabile che non tutti abbiano aggiornato la lista dei preferiti.
Un po' per tale ragione, un po' perché fui impegnatissimo con la tesi, alla quale seguì la depressione post lauream, il blog piano piano si arenò.

Risorse un po' tra la seconda metà del 2011 e il 2012, a seguito della morte di mio padre. Tornò ad essere una valvola di sfogo... ma ormai il declino era avviato.

Non dico che sia declinato il suo autore. Ma il blog, pur essendo una mia creatura, ha una sua vita. E oggi la vita di questo blog è simile a quella di un giocatore di Risiko che ha due territori, non riesce a conquistarne nemmeno uno per prendere la carta, spera che un avversario lo uccida per potersi guardare la TV in santa pace nell'altra stanza, ma non muore mai.

Non nego che, alla fine della fiera, ciò che mi fa soffrire in questo momento sia l'avere pochi commenti. Mi si può dire quello che si vuole: che sono incostante e si fa fatica a seguirmi, che a volte parlo di argomenti che non coinvolgono una grande folla; ma la verità è semplice, e ce l'ha insegnata la fine del socialismo. Il mercato è sovrano, e un blog che non ha commenti non è interessante. Punto.

E se penso a quante ore ho perso per scrivere alcuni post, a quanta minuzia metto, a quanto amore spendo per scrivere... mi viene da piangere. In questi giorni la mia mente era un fiume in piena. Vorrei parlare di tante cose, ma poi penso: ma cosa scrivo a fare, ché tanto non interessa a nessuno?

Mi si potrebbe obiettare che misuro la qualità con il numero di mi piace. Giusta obiezione; allo stesso modo non è giusto giudicare le proprie amicizie dal numero di uscite serali ogni settimana. Tuttavia, stare solo, in casa, il sabato sera, quando avrei voglia di uscire, mi deprime: e sfido chiunque a smentirmi.

Mi si potrebbe consigliare di non spendere tanto tempo per un post, ché non è un romanzo destinato a vincere il Bancarella. Ma io sono sempre stato perfezionista: le brutte copie dei miei temi di italiano erano piene di cancellature, correzioni, aggiunte. Non sono mai riuscito a scrivere velocemente e bene. Per questo su Twitter sono una frana.

Non credo di non essere capace di scrivere, e nemmeno di non avere alcuna wit, che è la mia parola inglese preferita, e che non è né la brillantezza, né lo spirito, né il mordente. Su Facebook, quantomeno tra coloro che conosco anche di persona, ne ho spesso la conferma. Ma evidentemente la cosa non funziona qui: perlomeno, essendo qui da quasi otto anni. Troppe, probabilmente, sono le contraddizioni nelle quali sono caduto - tante, d'altra parte, sono le volte che ho cambiato opinione - e io mi sento come quando incontro ex compagni di classe, che mi guardano pensando di avere ancora di fronte il ragazzino di un'era geologica fa.

Personalmente, non smetterò di scrivere, e questo blog non sarà cancellato, ma con ogni probabilità questo è il suo ultimo post.

A rileggerci, ragazzi, e buona fortuna.

giovedì 23 gennaio 2014

lunedì 20 gennaio 2014

Yazoo vs. The Rapture

Ve l'avevo mai detto che io adoro trovare le somiglianze musicali?

Yazoo - Don't Go (minuto 0.30)


The Rapture - Olio (dall'inizio; e se non conoscevate i Rapture, male!)

Claudio Abbado

Mario Luzi: nominato senatore a vita il 20 ottobre 2004, morto il 28 febbraio 2005.

Claudio Abbado: nominato senatore a vita il 30 agosto 2013, morto il 20 febbraio 2014.

Ecco come si nominano gli uomini di cultura senatori a vita: si scelgono i malaticci, così schiattano subito e non scassano troppo a lungo sui tagli alla cultura.

domenica 19 gennaio 2014

Bald* giovani cercansi

L'ultima trovata del politicamente corretto vuole un asterisco al posto della desinenza di genere (es. "alunn*"), per evitare sia il maschile generico sia la sbarretta ("alunno/a").


Chiunque abbia usato Dos o usi attualmente Linux, tuttavia, sa che * sostituisce una stringa di caratteri, non necessariamente una singola lettera.

Quindi, se io tra gli annunci di lavoro trovassi "bald* giovani cercansi", dovrei precipitarmi al colloquio?

Canzone del giorno: The Departure - All Mapped Out.

"Un giorno salterà fuori!"

Stanotte ho sognato una cantata in compagnia.
Non chiedetemi perché, perché io detesto le cantate in compagnia. Adoro cantare, ma sono un fottutissimo snob, e le canzoni "che sanno tutti" non le sopporto.
C'erano Andrea e Chiara, miei compagni di liceo. Il primo, musicalmente, me lo ricordo perché con Davide, altro nostro compagno, durante una gita a Perugia cantava da mane a sera Qui comando io di Gigliola Cinquetti.


Chiara, invece, era appassionata di Francesco De Gregori.

Nel sogno, a un certo punto Chiara esclamava: "Facciamo Will, spirit me on!!!" E io, che me la ricordavo, cominciai a cantare.

Su questo torneremo dopo.

L'anno in cui era uscito, avevo visto Notte prima degli esami con una mia amica che, come me, è fan degli a-ha, ed entrambi saltammo sul sedile del cinema non appena vedemmo, nella camera di una delle ragazze, il poster con la copertina di Headlines and Deadlines, il "best of" del gruppo norvegese.

Perché quella raccolta è uscita nel 1991, mentre il film è ambientato nel 1989.

Dal punto di vista musicale, non è di certo per questa svista che il film è criticabile. Lo è per l'intera scelta della colonna sonora. Wishing Well, di Terence Trent d'Arby, è del 1988. The Final Countdown, sulla quale scorrono i titoli di coda dopo l'esilarante scena finale, è del 1986. La canzone che dà il titolo al film è del 1984. Should I Stay or Should I Go è addirittura del 1981!


Nessuno, nel 1989, avrebbe mai ascoltato musica vecchia di otto anni. E nemmeno nel 1997, quando la maturità toccò a me, ad Andrea e a Chiara. (Davide si era trasferito con la famiglia.) Le canzoni storiche, come per l'appunto quelle di Gigliola Cinquetti; oppure i classici, come Francesco De Gregori, non sono mai state da sfigati, ma le hit degli anni delle medie sì.

Il regista Fausto Brizzi, che quando ha realizzato il film aveva 37 anni, non solo era nell'età in cui il passato è un dipinto senza prospettiva, ma avendolo realizzato nel 2006, era pienamente immerso nel "presente dal cuore vintage" .

Si può dire quello che si vuole: aria fritta, questioni di lana caprina per riempire le pagine dei giornali... Sta di fatto che, non più tardi di quattro anni fa, un mio allievo liceale era tutto gasato perché era appena stato a vedere i Green Day e di lì a poco sarebbe andato al concerto dei Blink 182. Mai, a 17 anni, avrei immaginato di potermi ritrovare ad un concerto con un mio professore, nemmeno il più giovane.

E, cosa più importante, io nel presente dal cuore vintage sto benissimo.

Tornando al sogno, io quella Will, spirit me on me la ricordo. Vaghi lampi di memoria: una chitarra elettrica rossa che suonava senza distorsioni nel videoclip, nonché un feat. prima di uno degli interpreti.

Ovviamente la canzone non si chiama così, e nemmeno il testo suona così.
Ma so che, se la canzone esiste - perché, dopo un sogno, una mattina chiesi a mio padre se io, da bambino, fossi mai stato dentro il cestello della lavatrice in funzione, sia chiaro - prima o poi ritornerà.

Come diceva mia zia, quando non si riusciva a trovare un oggetto in casa: un giorno salterà fuori.

venerdì 17 gennaio 2014

#coglioneNo

Un creativo non voleva pagare l'idraulico che gli aveva appena riparato il gabinetto intasato. L'idraulico gli spaccò il MacBook con un tubo.

Il giovane direttore di una start-up non voleva pagare il grafico che era stato sveglio tutta la notte per disegnargli il logo.
Il grafico lo ringraziò e si precipitò a casa per aggiornare il curriculum.
Non poté, perché il suo MacBook era stato spaccato da un idraulico.

mercoledì 15 gennaio 2014

Storia di Informino

Uno dei pochi periodi che ricordo con piacere, delle ore di italiano alla scuola media, fu quando parlammo dell'informazione: la lettura del quotidiano, le regole di scrittura di un articolo, le differenze tra giornali, radio e televisione nel dare le notizie.

A introdurre il tema fu la Storia di Informino: un breve racconto di un ragazzino che non trascorreva un minuto senza ascoltare le ultime notizie, e il cui sogno era possedere una telescrivente o - miraggio! - un videoterminale in collegamento diretto con le principali agenzie di stampa.


Il racconto voleva essere uno spunto di riflessione sul bombardamento di informazioni che caratterizzava la società di allora; e vi parlo del 1991. Chissà cosa farebbe Informino di fronte alla pagina di Twitter.

Informino non si rilassava mai, preso com'era dal suo desiderio di sapere.
Si parla, oggi, di disabitudine alla lettura lunga; e anche io, vista la rapidità con cui passo da una finestra del pc all'altra, mi chiedo se essa riguardi anche me.
O se non sia, più che altro, la mia sensazione che il tempo stia passando troppo in fretta.

Canzone del giorno: The Merrylees - Turn For The Strange.

martedì 7 gennaio 2014

L'albero della mia vita

Come Padova, che pur mantenendo qualche segno della sua origine paleoveneta, ha un centro storico che rivela la sua prosperità in epoca rinascimentale, al quale sono collegati i quartieri periferici moderni; così la casa dove sono nato, pur mantenendo svariati segni della generazione precedente, ha un solido tronco anni '70, l'epoca dei miei genitori.

È su questo tronco che io ho vissuto infanzia e fanciullezza: è vero che sono nato nel 1979, ma, vuoi perché vivevo in paese, vuoi perché fino al 1986 avevamo un televisore in bianco e nero senza telecomando, vuoi perché i miei genitori non mi hanno mai comprato giocattoli o vestiti che andavano di moda in quegli anni, credo di essere stato influenzato in larga misura dallo spirito del decennio precedente.
È su questo tronco, cioè, che io avrei innestato i miei rami, che sarebbero rimasti slegati dall'attualità finché io non cominciai seriamente la ricerca della mia identità. E non l'avrei cominciata fino, almeno, ai 18 anni.

Il mio tronco, quello che regge la mia vita presente, poggia le radici negli anni successivi al boom economico, ma è stato costruito, fondamentalmente, negli anni a cavallo tra i due secoli. Gli anni in cui a Internet si accedeva con un cd autoinstallante; e i miei allievi non l'hanno nemmeno mai sentito, il suono del modem 56k...


Oggi Umberto Eco scrive alle migliaia di nipotini sparse per l'Italia - e anche ai loro fratelli maggiori, che hanno l'età dei miei allievi - invitandoli a imparare cose a memoria; per allenarla, e per capire il mondo di oggi.

La paura di Eco, la perdita della memoria, io la condivido. E non perché stia diventando il vecchio trombone rompipalle, ma perché veramente, adesso, la memoria è meno utile, nell'immediato.
Perlomeno, fino a qualche anno fa, se avevamo bisogno di un'informazione su Internet, dovevamo raggiungere un pc connesso. Adesso, se non noi, sicuramente un nostro amico o collega ha uno smartphone. Non sono soltanto i maestri che non obbligano più a imparare le poesie a memoria: il punto è che ci serve meno, la memoria.

Nell'immediato, s'intende. Perché, almeno secondo me, le menti brillanti del futuro saranno comunque coloro che impareranno come si è sempre imparato: attenzione, concentrazione... e sì, ritmo e vitalità.


Per questo voglio che il tronco su cui cresceranno i miei figli - e i miei allievi! - attinga il più possibile dalle sue radici passate: ciò che i miei genitori hanno costruito, che hanno costruito per me.

Ah, per la cronaca, io la cavallina storna non l'ho mai imparata.

Canzone del giorno: Ke$ha - Die Young.