sabato 30 gennaio 2010

Apologia delle note

Se libro, quaderno per gli appunti e penna sono, grosso modo, standard per ogni studente, ben diversi sono gli altri arnesi.
C'è chi ha l'astuccio pieno di evidenziatori dei più disparati colori; al termine di ogni giornata di studio, libro e quaderno sbrilluccicano più di Piccadilly Circus di sera.
C'è chi riempie le pagine di post-it, anch'essi colorati.
C'è chi, più discretamente, preferisce sottolineare a matita, magari col righello; quasi più per annotare che quelle pagine sono state studiate, che per mettere in risalto le frasi importanti.

Nel mio astuccio, tre oggetti non dovevano (e non devono) mancare per alcun motivo: matita, gomma e temperamatite.
Io non rendo le pagine fosforescenti, non metto post-it perché temo di perderli e odio le sottolineature; in compenso, tra tutti i libri della mia classe, il mio si riconosce per essere pieno di note.

Io amo le note. E le curo: voglio che siano scritte con un tratto chiaro e netto, così come gli asterischi che, nel testo, le richiamano. Ecco perché la matita deve essere rigorosamente di durezza HB e ben temperata.

Lo stesso amore lo provo per le note inserite - con moderazione - dagli autori stessi nei loro libri, o nei testi scritti da me. Ogni tanto perfino qui sul blog metto delle note a pié di pagina1 anche se la procedura è un po' macchinosa poiché, perlomeno per quanto ne so, non esiste modo per automatizzare la numerazione.

Le uniche note alle quali è concesso lo stesso corpo del testo normale sono le avvertenze o osservazioni importanti, introdotte da un elegante N. B. o un più informale Attenzione! (Nelle note in matita, io scrivo Occhio!) Alle note a pié di pagina, a margine o in chiusura è rigorosamente riservato un corpo più piccolo.

Per questa ragione le note sono affascinanti. Sono schive: giusto un numerino le richiama; non sono aggressive come le frasi tra parentesi, che ti spingono a cercare immediatamente la fine per dare un senso al discorso. Già la frase tra lineette è più discreta, ma ha parimenti l'handicap di stare allo stesso livello della frase principale. Ha, cioè, costantemente il fiato sul collo: chiudere subito, se no la gente si spazientisce. E quante volte, parlando o scrivendo, ci viene in mente qualcosa di interessante, che tuttavia rischia di farci perdere di vista l'obiettivo?
Parlando, non c'è scelta: a meno che si tratti di una cosa brevissima, bisogna rinunciare.
Scrivendo, invece, ecco l'asso di briscola: la nota.

Gli studenti, specialmente di materie umanistiche, spesso odiano le note; la frase che si sente più spesso, dopo un esame, è: ma 'sto prof non ha niente di meglio da fare che cercare il pelo nell'uovo su una frase scritta in una nota?

Ma è normale che sia così. Perché la nota è serena. Con la sua posizione defilata, separata dal testo da uno spazio bianco o da una linea2, può essere per tutti i gusti. Il numerino che la richiama dice al lettore: ehi, sono qui. Puoi anche ignorarmi se vuoi, ma se mi leggi non te ne pentirai. Può essere il riferimento bibliografico3, la curiosità, la digressione - sempre nei limiti della decenza. Può essere il richiamo ad un argomento altrimenti dato per scontato, messo in nota affinché chi già lo conosca non si senta trattato come l'ultimo arrivato. Può essere il richiamo ad un argomento precedentemente affrontato e che, inserito nel testo principale, lo renderebbe ridondante. E - queste sono le note più belle - può essere la frase che riassume tutto, e che chiarisce quanto non si era capito in pagine e pagine di trattazione.

Non è magia, gente. È tipografia.

Canzone del giorno: Milow - You Don't Know.

  1. Anzi, a pié di post.

  2. Io preferisco di gran lunga le note a pié di pagina: le note in chiusura costringono ogni volta a girare e tenere il segno, mentre le note a margine costringono a ridurre la larghezza delle colonne, con conseguente consumo di carta. Anche se, probabilmente, per un libro scolastico è la scelta migliore, affinché gli studenti abbiano spazio per i loro appunti.

  3. Questo è l'unico caso in cui preferisco la posizione in chiusura di capitolo o, ancora meglio, di libro; per distinguerle, i richiami sono in posizione di apice per le note a pié di pagina e tra parentesi quadre per i riferimenti bibliografici.

lunedì 25 gennaio 2010

No ghe 'a fasso

Un paio d'ore fa: torno dal cinema parrocchiale dove hanno dato A Serious Man (e chi l'ha visto può dunque comprendere il mio stato d'animo), e arrivo a casa, trovando uno dei miei due coinquilini che aveva appena finito di seguire il derby di Milano.
Preparo la cena - risparmiatemi la predica sul fatto che non si mangia alle 11.30 di sera, prego - e, mentre mangiamo, i nostri discorsi sono unicamente calcistici.
Premetto che non disdegno per nulla il calcio, ma da qualche anno praticamente vedo solo i risultati e la classifica; neanche ricordavo che il Real Madrid si fosse comprato Benzema, giusto per dirne una.
Nel frattempo, lo schermo del televisore mostra o La domenica sportiva o Controcampo.
Verso mezzanotte e mezza, le sintesi delle partite della giornata sono finite; vedo Franco Ordine - che inizialmente pensavo fosse quello che a Guida al campionato imitava Maurizio Mosca - Arrigo Sacchi, Giampiero Mughini e altra gente: si parla dell'Inter, della crisi della Juventus e via discorrendo.

Meno male che a un certo punto abbiamo spento, visto che ne stavo uscendo pazzo. Qualcuno che segue questi dibattiti mi vuole spiegare come fa? Un giorno di settembre andavo in macchina da Roma al Circeo con mio cugino: era lui che guidava, e la radio era perennemente sintonizzata su Rete Sport, emittente che parla unicamente della Roma. La squadra di Totti - per la quale tifo anche io, per la cronaca - aveva appena ingaggiato Claudio Ranieri. Ora, ok, le speculazioni, le speranze dei tifosi... Ma due ore tutte così? Ho chiesto a mio cugino come facesse - perché la ascolta spesso - aspetto ancora una risposta.

Canzone del giorno: Mau Mau - Due cuori.

domenica 24 gennaio 2010

Libero, di scrivere dove mi pare

Fino alla scorsa settimana, quando in treno trovai una copia omaggio di Libero, non avevo mai sentito parlare di Paolo Nori. E il ricordo di Andrea Cortellessa era dovuto solo al suo insolito cognome.

Scoprii così quel giorno che lo scrittore Nori era stato pesantemente attaccato dal critico letterario Cortellessa a causa della sua decisione di collaborare con il quotidiano diretto da Maurizio Belpietro. I due si sarebbero successivamente confrontati nella trasmissione Fahrenheit di Radio 3, e alla libreria Giufà di Roma.

Ora, ascoltando la registrazione del dibattito radiofonico, si capisce come Cortellessa non abbia affatto dato a Nori del traditore; in sintesi, il critico teme che il contesto di Libero, ben lontano dagli abituali modi di Nori, possa in qualche modo portare a dei fraintendimenti. Come quello di un lettore che aveva scambiato il simbolo del festival di poesia di Seneghe, stampata su una maglietta indossata dallo scrittore, per una croce celtica.

Secondo Cortellessa, questo errore è stato causato dal contesto (la foto dello scrittore con la maglietta è stata pubblicata su Libero); secondo me, l'unica causa è la stupidità del lettore.

A me Libero non fa paura. Non è un quotidiano che compro abitualmente - a dire il vero, non compro abitualmente quotidiani - ma non sento il bisogno di nascondermi se mi capita in mano, né di guardare sdegnato chi lo legge. E anche se lo leggo, mi cambia la vita? Fa di me una persona diversa? È vero: ogni tanto la prima pagina è un cazzotto nello stomaco, per usare le parole di Cortellessa, ma poi tutto passa.

Canzone del giorno: Linkin Park - Crawling.

sabato 23 gennaio 2010

Timore letterario

Circa un anno e mezzo fa, stipulai un patto con la mia Frau.
Lei avrebbe letto La versione di Barney e io La straniera, il suo romanzo preferito - meglio: il primo romanzo della sua saga preferita.
Trattandosi (lo dice pure la quarta di copertina) di un romanzo storico sentimentale, ed essendo io stato lasciato da pochissimo, convenimmo che l'avrei letto dopo che la fase acuta mi fosse passata.

Nel frattempo lessi altri libri, il pH non risalì a sufficienza e l'opera prima di Diana Gabaldon rimase sul comodino.
Solo all'inizio di questo mese decisi - sollecitato nuovamente dalla Frau - di onorare il patto.

Sono a pagina 50 (di circa 800) e presumo che nel vivo degli eventi debba ancora arrivare.
Ma, onestamente, non nascondo un certo timore.
La Frau diceva: leggi La straniera e capirai cosa vogliono le donne.
Il problema è che diceva la stessa cosa del film Australia, riferendosi in particolare al mandriano Drover. Allora, va detto, la summenzionata fase acuta era piuttosto recente ma io, dopo aver visto Australia, ero stato preso da un attacco di tristezza pensando che S. mi aveva accusato di non essere abbastanza "romantico" , e che con ogni probabilità lei avrebbe sognato un uomo come Drover, personaggio creato proprio per piacere alle donne.

Mi pare di capire che Jamie Fraser - il protagonista maschile della saga della Straniera - non abbia niente a che vedere con Drover, e non sia nemmeno un bad guy. Ma se il pH, anziché risalire, crollasse a livelli da acqua regia?

Per ogni evenienza, ho stipulato un altro patto con la Frau: se arriva la tristezza, la manderemo via insieme.

Canzone del giorno: Paloalto - Breathe In.

lunedì 18 gennaio 2010

Il latino e Annamaria Mazzini

Le discussioni sull'(in)utilità dello studio del latino hanno almeno quattro tratti in comune con gli speciali televisivi su Mina:
  • la pressoché periodica cadenza;
  • la scontatezza del contenuto;
  • il progressivo aumento della densità di nostalgia: da noi studiavamo senza fare storie, adesso arrivano a 18 anni che non sanno neanche chi era Seneca! o una volta sì che erano canzoni, adesso non si capisce neanche cosa dicono! si giunge alla conclusione lapidaria e appassionata: non esiste liceo senza latino! o Mina è la più straordinaria cantante di tutti i tempi! cui segue uno scroscio di applausi;
  • il mantenimento dello status quo: il Castiglioni-Mariotti è sempre un best-seller, e la tigre di Cremona è sempre lontana dal palcoscenico.
Canzone del giorno: Green Day - Peacemaker.

domenica 17 gennaio 2010

¿Quién tiene la culpa?

Parque del Retiro

Argomento un po' delicato, quello di oggi.
Sono stato ospite da un mio amico a Madrid, all'inizio di dicembre, ed erano ormai 7 anni che non mi capitava di recarmi in un Paese del quale non parlo la lingua.

Le due sere che ho trascorso con una mia amica che è lì per l'Erasmus non ho avuto problemi di sorta: quando i ragazzi parlavano spagnolo, io li capivo, e loro capivano me quando parlavo italiano. Lo stesso però non si può dire, tranne poche eccezioni, di quando mi trovavo in un locale, un negozio o un museo. Non parliamo poi dei tentativi di conversazione in inglese.

Questi episodi in parte mi hanno consolato: noi italiani, nonostante i vari risultati esilaranti di chi "vuo' fa' l'americano," non siamo messi poi così male, o quantomeno c'è chi è messo peggio. Ma la responsabilità di tali episodi è principalmente mia.

Di sicuro tornerò a Madrid dal 16 al 21 agosto 2011: prima di essere (almeno formalmente) fuori età, voglio prendere parte ad una Giornata Mondiale della Gioventù. E, per allora, vorrò aver imparato un minimo di spagnolo.

Ogni tanto, coloro che affermano che gli stranieri fanno finta di non capirci o ce l'hanno con noi italiani mi danno l'idea di avere più autostima di me. Ma io non faccio per nulla finta di non capire uno straniero, né ce l'ho con lui, se costui mi si rivolge in italiano con una pronuncia oscena, o sbaglia tutti gli accenti, o mette le parole alla rinfusa.

Di solito io sono molto paziente con gli stranieri, innanzitutto perché desidero che loro siano pazienti con me quando voglio esercitarmi nella loro lingua. A un'amica di queste parti un giorno capitò un cliente inglese: costui inizialmente le si rivolse in italiano e lei, notando le sue difficoltà, gli rispose in inglese. Il conseguente invito del cliente a proseguire la conversazione in italiano fu leggermente piccato, e la mia amica ci rimase un po' male ma, quantomeno per me, l'irritazione del cliente è fin troppo comprensibile.

Forse, però, dovrei fregarmene di più, anche se non ho un frasario essenziale. Anche perché è un blocco che - seppur in ben più stretta misura rispetto a qualche anno fa - caratterizza il mio comportamento un po' in tutto. È probabilmente la stessa ragione per cui faccio fatica ad affrontare un argomento di fisica se non ho prima studiato la matematica che sta alla sua base. Ed è la stessa ragione per cui inizialmente osservo, prima di inserirmi in una discussione. Ma, per fortuna, molti problemi me li sono già lasciati alle spalle.

Canzone del giorno: Eels - Dog Faced Boy.