giovedì 28 giugno 2012

Grande Giove!



Popolo di Twitter e di Facebook, anche del futuro avete la memoria corta. La data di arrivo di Marty McFly nel secondo episodio della saga è il 21 ottobre 2015, e non ieri. Avete ancora più di 3 anni per prenotare l'albergo a Hill Valley.

Canzone del giorno: Linkin Park - Burn It Down.

martedì 26 giugno 2012

Il favoloso mondo di Luciano

Anche se il mistero dei temi ormai è stato svelato, siamo ancora in pieni esami di maturità, giusto? E allora forza, facciamo come la prassi comanda: facciamo cioè finta che l'unica scuola superiore italiana sia il liceo classico.

Sia chiaro: non mi aspetto che qualcosa cambi, negli "speciali maturità" dei quotidiani. Il loro scopo non è informare, ma permettere ai loro autori - per il 90% ex classicisti - e ai loro lettori di rivivere la notte vendittiana. Anzi: la situazione deve rimanere così, ora e sempre. Dio mi scampi da un Piergiorgio Odifreddi opinionista del compito di matematica del liceo scientifico.

Luciano Canfora, che al contrario è immancabile opinionista della versione di latino o di greco, non è mai uscito dalla notte vendittiana. Una decina di giorni prima di dichiarare come la scelta di Aristotele fosse nobile ma troppo difficile, in un breve editoriale sul Corriere immaginava una volgare - e irreale - Italia senza lingue classiche alle scuole superiori.

Rilanciando gli appelli della Association le Latin dans les Littératures Europeénnes in difesa della lingua latina, il filologo pugliese si domanda: chi, tra qualche decennio, saprà decifrare almeno il frontespizio di una cinquecentina o di una secentina o intendere il contenuto di un documento della cancelleria papale, la volta che latino e greco saranno scomparsi dal corso di studi?

Ora, io non so in quale mondo viva l'amico Luciano, ma di certo non è quello in cui vivo io. In quest'ultimo, ogni tanto, si suole visitare le città storiche, con conseguente visione di iscrizioni latine:


Allora: viventibus pietatem, la pietà per i viventi... aspetta, no, pietatem è accusativo, il soggetto dev'essere un'altro. Haec marmora, sì. Questi marmi. Questi marmi... commendant? Questi marmi offrono la pietà dei morti per i viventi... No, questi marmi offrono la pietà dei viventi per i morti. Evvai, la prima frase è fatta! Ora, disce quam larga ad aras suffragia: impara quanto è larga... no, aspetta, è disce quam larga ad aras suffragia procuret animabus Purgatorii iuvandis! Impara quanto... oddio, dov'è il verbo della subordinata? Procuret. Allora: com'era il paradigma? Procuro, procuris... O no, forse è procurro? C***o, ho dimenticato tutto! E prendevo sempre 8!

Canzone del giorno: Grégoire - Ta main.

venerdì 22 giugno 2012

Неравенство Чебышёва


ℙ[|X - μ| ≥ ] ≤ 1/k²


Per oggi vi basti questo.

Canzone del giorno: Ace of Base - Travel To Romantis.

giovedì 21 giugno 2012

Poesie nel cassetto

Ho incontrato un giorno un signore che si definiva un poeta e che mi ha chiesto come mai si pubblica così poca poesia. Gli ho risposto che ci sono pochi lettori di poesia e che, come per gli altri beni, c’è una domanda e un’offerta: se nessuno compera, nessuno pubblica.
"Lei, naturalmente," gli ho detto, "leggerà molta poesia, ma siete pochi."
"Bah," mi ha risposto, "leggere poesia... Un amico mi ha regalato un libro di Paolo Neruda, ne ho letto qualche pagina ma non mi è proprio piaciuto. Poi un cugino mi ha regalato un libro di Montale ma o io sono un cretino o quello non sa proprio scrivere!"
(Gabriella Bona, Laboratorio sulla scrittura)

Canzone del giorno: Young The Giant - My Body.

mercoledì 20 giugno 2012

Sei proprio il mio errore di stampa!

Mentre quasi 500 mila penne, stamattina, si affaticano ad immortalare i pensieri forzati di altrettanti diciannovenni, Marco Belpoliti sulla Stampa annuncia l'uscita, in Italia, di un saggio sulla storia dei caratteri tipografici: Just My Type del giornalista britannico Simon Garfield, già pubblicato in patria due anni fa.


Come apertura del suo pezzo, Belpoliti si domanda: sapete in che carattere è scritto l’articolo che ora state leggendo? Probabilmente no. Forse è solo una curiosità, dal momento che nessuno, salvo gli addetti ai lavori, vedono il carattere usato ne La Stampa (il Benton), nel romanzo che state leggendo, sui cartelli stradali o nella pubblicità che avete appena guardato.

Ovviamente, io sono l'eccezione che conferma la regola. Adoro osservare e provare i diversi caratteri tipografici: il mio preferito tra i "con grazie" (serif) è il Baskerville



e tra i "senza grazie" (sans-serif) il Calibri, che ha sostituito lo storico Arial e sta dando qualche colpetto alla corazzata Helvetica. Anche il Droid Sans, il carattere di default sui cellulari Android, mi piace molto, mentre è a sé stante l'Optima, un senza grazie con la grazia di un con grazie.


Detesto, al contrario, il Comic Sans - alla fine degli anni '90 era onnipresente! - e il Computer Modern, il carattere standard di LaTeX, nonostante sia il più ricco e versatile che abbia mai usato. Ma qui c'entra il mio rapporto di amore-odio con LaTeX nonché il suo essere il font in cui è scritta la maggior parte dei manuali scientifici e - soprattutto - le dispense dei professori ;-)

Inutile dire, quindi, che il saggio di Garfield mi interessa moltissimo. Tuttavia, qualcuno mi porti qui Roberta Zuppet, colei che l'ha tradotto in italiano per Ponte alle Grazie.

Il titolo inglese è un bellissimo gioco di parole - just my type, ovvero, proprio il mio tipo (nel senso di persona che ci piace) e proprio il mio carattere tipografico.
Il titolo italiano - Sei proprio il mio typo, ripreso anche da Belpoliti con A ciascuno il suo typo - vorrebbe essere un gioco di parole: peccato, però, che typo in italiano non esista, e che in inglese sia un'abbreviazione per errore tipografico: ossia, sei proprio il mio errore di stampa! Però, chi lo sa, magari se lo dite al vostro prossimo appuntamento galante il vostro typo si eccita e vi propone una notte di fuoco su una rotativa.

Canzone del giorno: Nicki Minaj - Starships.

lunedì 18 giugno 2012

Al Politecnico di Milano contro la discriminazione linguistica degli italiani


Bedaŭrinde mi ne povos esti fizike ĉeestanta, sed mi invitas ĉiun civitanon de Milano kaj la najbaraj urboj, kaj la lernantoj de la Politeknika universitato, partopreni en la protesto kontraŭ lingva diskriminacio antaŭ la mezlernejo, Placo Leonardo Da Vinci, 32, merkredon 20 junio. Tiu universitato, financita de la itala ŝtato, volas malpermesi la itala lingvo: ĉiu kurso estos en angla. Ni ne vendas nian kulturon kaj nian tradicion por pakon de maĉi-gingivo!

Purtroppo non potrò essere presente fisicamente, ma invito tutti i milanesi e dintornesi, nonché gli studenti del Politecnico, a prendere parte alla protesta contro la discriminazione linguistica di fronte all'Istituto, in Piazza Leonardo Da Vinci, 32, mercoledì 20 giugno. Questa università, finanziata dallo Stato italiano, vuole proibire la lingua italiana: tutti i corsi saranno in inglese. Noi non vendiamo la nostra cultura e la nostra tradizione per una stecca di chewing-gum!

L'appello della "Esperanto" Radikala Asocio - Associazione Radicale "Esperanto"

L'evento su Facebook

Lupi e contadini


Conoscete questo gioco, amici lettori?

Il villaggio dorme / si svegliano i lupi / i lupi hanno indicato la preda / i lupi dormono / si sveglia il guaritore / il guaritore ha deciso se salvare o non salvare la preda dei lupi / il guaritore dorme / il villaggio si sveglia con un uomo in meno: si tratta di...


Sì, lo conoscete. Forse come lupus in tabula.
Quest'anno ci avrò giocato almeno 4 volte, in presenza di diversi ruoli fantasiosi: il veggente, che ogni notte può divinare l'identità di un giocatore; il cavaliere, che prima che si sveglino i lupi può rendere un giocatore (lupo o contadino, quindi) immune da ogni attacco per quella notte; il licantropo, un giocatore che inizia come contadino, e che se viene ucciso diventa lupo e prosegue il gioco con i lupi; la bambina, che può sbirciare mentre i lupi sono svegli.

Fino all'anno scorso ignoravo del tutto l'esistenza di questo gioco. Lo scoprii in una torrida serata di agosto nei pressi di Avignone, sul pullman verso la Giornata Mondiale della Gioventù.
Sia io che la mia vicina di posto eravamo contadini. Non capivamo nulla, se non che dovevamo aprire e chiudere gli occhi. Eravamo stanchissimi - eravamo in viaggio dalle 4.30 del mattino - e speravamo di essere uccisi; ma nessuno ci uccideva, perché né io né lei eravamo conosciuti nella compagnia, per cui eravamo un po' outsider.

Al compleanno di un'amica della mia ragazza, a dicembre, uno degli invitati lo propose. Io ero atterrito all'idea, e invece fu divertente. Costui era molto bravo come narratore, e fu anche un modo per rompere il ghiaccio, tra coloro che si conoscevano poco.

Poi, frequentando studenti e dottorandi stranieri, scoprii che il gioco è conosciuto in tutto il mondo, come Mafia. E che esiste dal 1986, e che ad inventarlo fu tale Dimitry Davidoff dell'Università di Mosca, e che dei matematici hanno provato a modellizzarlo.

Ma voi, da quanto lo conoscete? Mi sento leggermente avulso dalla realtà.

Canzone del giorno: Θεολόγος Κάππος - Για τα μάτια σου μόνο.

giovedì 7 giugno 2012

La buona abitudine di chiudere le parentesi

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Io e il mio amico Michele non eravamo solo compagni di scuola elementare. Anche informaticamente siamo cresciuti insieme.
Tra le rispettive famiglie, è stata la mia la prima ad avere un computer in casa, e i primi anni Michele usava il nostro.
Quando usavamo un elaboratore di testi, lui da subito prese la buona abitudine di inserire la parentesi chiusa ) subito dopo quella aperta (, poi tornare indietro col cursore e digitare l'inciso.

Lui è diventato un informatico, ma anche nel mio lavoro le parentesi sono importanti.
In ogni circostanza le parentesi sono importanti.
Chiuderle, soprattutto.

Gli editor di testi per programmatori le evidenziano, affinché inavvertitamente non se ne lasci aperta qualcuna; ma nella vita non ce li abbiamo.

E, d'altra parte, io non ho mai preso l'abitudine di Michele.
Ho rimediato col trattino - che può stare anche da solo.

Musica del giorno: Béla Bartók - Quartetto per archi n. 3.

mercoledì 6 giugno 2012

"Ma questo ce lo chiederà?"


Da Voi siete qui di Enrico Manera, su doppiozero.com:
Le tendenze ad oggettivare, misurare e produrre percorsi standardizzati che caratterizza le istanze pedagogiche generali mal si conciliano con il tradizionalismo retorico nei contenuti e nelle forme, appena screziato di falsa innovazione, che i programmi ministeriali continuano a produrre nella scuola superiore. Si tratta di logiche insensate che non aiutano gli individui a crescere e autodeterminarsi ma promuovono un insegnamento inteso come addestramento a superare esami, con prove a trabocchetto. L'intero sistema è perverso nel momento in cui i voti contano poi realmente (anche se noi insistiamo che non si studia per il voto) e i test per l'ingresso ai corsi di laurea paiono inidonei alla selezione, per non dire assurdi e insensati, fondati sul nozionismo e sulla scelta multipla. Sotto la patina umanistica dell' "imparare a imparare" che innerva la mission dei nostri P.o.f. (il famigerato Piano di offerta formativa secondo la neolingua ministeriale), il movimento cognitivo paradossalmente insegnato avviene strategicamente attorno alla dicotomia 'questo serve/non serve', che i ragazzi colgono immediatamente nell'economia del loro tempo-studio. Mi capita spesso di venire interrotto durante la lezione da una mano alzata che chiede: "ma questo ce lo chiederà?". Lascio immaginare quanto questo sia avvilente per gli insegnanti, il cui obiettivo è costruire relazioni con soggetti in formazione attraverso la mediazione di contenuti intellettuali e insegnare qualcosa come la gratuità del sapere, se non la felicità della curiosità teoretica.
La domanda, per l'autore - insegnante di scuola superiore - è molto seria. Come pensa di conciliare il desiderio di insegnare la gratuità del sapere con il sistema scolastico, o meglio, con la cultura della scuola, che da sempre - non solo da quando esistono i test d'ammissione - è basata sul voto?

Il ritornello questo serve/non serve, questo ce lo chiede/non ce lo chiede all'esame era ripetuto ogni giorno, quando andavo a scuola io e sicuramente anche quando andavano a scuola i miei genitori. E non vedo come potrebbe essere altrimenti, e non solo per chi viene da una famiglia dove c'era l'ossessione per il primo della classe, dove ad ogni inizio di vacanze estive le ultime generazioni dovevano recitare le loro pagelle di fronte al severo affetto di genitori, zii e nonni.

Il ritornello questo serve/non serve, questo ce lo chiede/non ce lo chiede all'esame è insito nella logica della scuola, del pezzo di carta che ti certifica ciò che sai, del programma ministeriale da rispettare, dell'antologia e delle schede di lettura. È insito nella figura del maestro-Dio, colui che sa tutto e che ti metterà il voto; colui per il quale l'allievo ideale è quello che ti ripete la lezione a memoria. È insito nella logica che considera normale la dipendenza da quattro giorni di prove dell'esito di un percorso di cinque anni.

Conosco le obiezioni: gli insegnanti ridotti a macchiette, impotenti di fronte a presidi, genitori e ricorsi al Tar, il livellamento verso il basso della qualità dell'insegnamento. Ma anche questo è un sottoprodotto della logica di cui sopra. Se ciò che tu, Stato, mi dai, è un pezzo di carta, perché io, allievo o genitore del medesimo, non dovrei considerarlo come tale?

E conosco anche l'altra obiezione: io ho avuto insegnanti meravigliosi, che mi hanno fatto amare Newton e Cauchy (e basta co' 'sti Catullo e Foscolo!). Voglio sentire 10, 100, 1000 di queste obiezioni. E presto voglio esserne l'oggetto.

Musica del giorno: Béla Bartók - Quartetto per archi n. 2.

martedì 5 giugno 2012

15 minuti di lettura

 
Ero sceso a Roma dalla mia famiglia, per il ponte del 25 aprile, e avevo cominciato 1984, romanzo che mi ripromettevo di leggere da diversi anni. E leggevo: a casa, la mattina durante la colazione e la sera prima di dormire, sui mezzi e per strada: la prima notte, di ritorno da una cena con amici, mi addormentai sull'autobus notturno, scesi 7 fermate più avanti e dovetti ripercorrere, a piedi, tutta via di Bravetta - già luogo di una passeggiata inattesa, un anno fa - a ritroso. Arrivai al punto in cui Winston e Julia si uniscono a O' Brien, nella Fratellanza.

Tornai in patria dopo una settimana, e ancora sto lì. Solo ieri, al bar dopo la pausa pranzo, esasperato dal vedere il segnalibro sempre alla stessa pagina, mi imposi 15 minuti da dedicare unicamente alla lettura. I protagonisti di 1984 hanno i due minuti dell'odio, io i 15 minuti della lettura.

Finché durerà. I buoni propositi, quest'anno, non sono andati molto a buon fine. All'inizio della Quaresima mi ero ripromesso di alzarmi ogni mattina puntuale alle 7, e di recarmi alla prima Messa del giorno.
Per una settimana, ci riuscii.

Canzone del giorno: Simple Plan - Get Your Heart On!