giovedì 19 settembre 2013

La colonna sonora della vita: estate 2004

Cosa hanno in comune gli a-ha e una sposa morente?

Un emulo del co-protagonista di The Following che, il giorno del suo matrimonio, accoltella la sposa cantando I've Been Losing You? No, Joe Carroll non è così raffinato.

Il tastierista degli a-ha, Magne "Mags" Furuholmen, è stato tra i produttori di The Angel and the Dark River, album del 1995 dei My Dying Bride.

Incontrare il mio amico Valerio e parlare con lui di musica mi ricordò quanto ho amato questo album, che lui mi fece conoscere, assieme a tutto il genere doom metal in generale - e al quale dedicai, ai tempi che furono, il post omonimo L'Angelo e l'Oscuro Fiume, che dai miei lettori fu visto come piuttosto criptico ;-)

The Cry of Mankind, prima traccia dell'album, rimane a tutt'oggi, a mio avviso, la più bella canzone del gruppo inglese.


Questo post partecipa all'iniziativa di Attimi di Letizia.

E se fosse il momento di cambiare prospettiva?

Questo post è stato scritto di getto, e senza pensare. Possono esserci idee rivoluzionarie come immani c***ate. Prendetelo per quello che è, tenendo conto che per me è un periodo molto instabile! :-)

Stamattina, il mio coinquilino Niccolò mi parlava dei suoi futuri progetti lavorativi.

Lui è un agente di commercio, lavora in proprio: è intraprendente, pieno di idee, propositivo.
Io sono il suo esatto opposto: anch'io ho molte idee, ma la prospettiva di mettermi in gioco - in altre parole, di perdere soldi - mi terrorizza. Sono consapevole delle mie capacità, eppure tendo a scoraggiarmi e mi spaventano i cambiamenti.

Niccolò mi diceva che sta prendendo piede, in questi anni, una figura lavorativa che è a metà strada tra un dipendente e un socio. Il lavoratore percepisce uno stipendio minimo - volutamente basso - ma partecipa degli utili dell'impresa. Egli è perciò incentivato ad impegnarsi: se l'azienda fattura, può guadagnare anche il doppio di un normale impiegato con le stesse mansioni, e mettere di conseguenza dei soldi da parte per la vecchiaia, visto che il futuro del sistema pensionistico non è di certo roseo.

Alla parola pensione mi prese il panico. La mia età della pensione è lontanissima, è vero: tuttavia, oggi, mi chiedo come un giovane possa essere fiducioso.

"Marco, il mondo sta cambiando."

Ecco.
Se fosse il momento, anziché di angosciarmi, di cambiare prospettiva?
Pensiamoci. I nostri genitori, i nostri nonni... sono cresciuti con l'idea che se fai male vieni punito. Arriva il papà e ti dà le botte. Il Signore ti manda all'inferno.
E se fai bene? Maaaahhh, niente più del tuo dovere.
Anche noi, in fondo, siamo cresciuti in questa mentalità. Almeno, io sì. Si potrebbe obiettare di no, che i ragazzi di oggi crescono in totale lassismo e anarchia. Forse è vero. Ma lo psicologismo imperante - quello, per intenderci, secondo il quale una nota sul diario è una tragedia, e un motivo per suicidarsi - è un tentativo, raffazzonatissimo, di correggere le storture della morale basata sulla punizione.

Quando sento le apologie di Steve Jobs, la rabbia non mi viene soltanto pensando che si sta idolatrando una persona che ha fatto del profitto la sua ragione di vita.Mi sale la rabbia perché sento: ecco, ora questo la gente pretende da me, che io sappia inventarmi. Ma io non so fare niente. Non sono creativo. Io non potrei mai scoprire un teorema: posso solo imparare a dimostrare i teoremi che altri hanno dimostrato.

Quando sento parlare di meritocrazia, non penso a quello che so fare. Penso che ci sono migliaia di persone, magari più giovani di me, che sanno farlo meglio, e io sarò messo alla porta. Meglio una raccomandazione: almeno con quella sto tranquillo. Perché tanti lavoratori stanno in malattia più del dovuto? Forse perché, dopo tante legnate, e ormai sfiduciati, hanno capito dov'è la falla nel sistema, e la sfruttano.

Sii responsabile, oggi, significa: attento a ciò che fai, potresti essere punito. Perché io presumo che tu farai male.

E se io, invece, presumessi che tu farai bene?
Non ti metterò di certo a riparare un impianto elettrico se non sai nemmeno trovare l'interruttore generale. Ma magari sei bravo a disegnare, e io mi dimentico che tu non sappia dov'è l'interruttore generale. Ci sarà pur qualcuno che lo sa, no?

Niccolò, spiegandomi il contratto di associazione in partecipazione - così si chiama - insisteva sul suo essere incentivante per il lavoratore.
Io non me ne intendo di diritto del lavoro, e non so se questo tipo di contratto, di fatto, sia un capestro. Ma l'accento lo pongo sulla parola incentivante.
Tu datti da fare, perché se farai bene guadagnerai! Non: tu datti da fare, perché se farai male ti sbatto fuori.


Ma una mentalità del genere non si può instaurare se innanzitutto non cambiamo noi prospettiva. Forse dovremmo imparare di più dal padre misericordioso, il quale non si domandò se il figlio, dopo il banchetto a base di vitello grasso, gli avrebbe chiesto ancora denaro.

Canzone del giorno: My Dying Bride - The Cry of Mankind.

lunedì 16 settembre 2013

"Tu sei mezzo greco, vero?"

L'anno scorso, ad un incontro in occasione del primo anniversario della scomparsa di mio papà, prese la parola uno dei redattori dell'Azione, il settimanale diocesano al quale mio papà aveva collaborato per più di 35 anni: "Gianfranco, da bravo uomo di cultura, odiava il calcio: il suo sport, infatti, era il ciclismo..."
Io, seduto in terza fila, mi alzai e lo interruppi: "Cosaaaa???"
"Be', inseriva spesso riferimenti a gare di ciclismo, tappe del Giro d'Italia... no?" replicò il giornalista.
"E per forza, con la capa tanta che gli facevo io..."

Mio papà era aggiornato sul ciclismo perché io sono appassionato di ciclismo: fosse stato per lui, sarebbe morto domandandosi perché mai, ogni anno, un uomo vestito di rosa scorrazzi su due ruote per lo Stivale. Eppure, nella redazione dell'Azione, si credeva che mio padre fosse appassionato di ciclismo.

Sempre l'anno scorso, un ragazzo che frequenta la mia stessa comitiva, e che mi aveva sentito conversare in greco con la mia tandem e altri studenti Erasmus dalla Grecia o da Cipro, mi chiese: "Tu sei mezzo greco, vero?"
Io gli risposi che sì, mia madre si chiama Δέσποινα ed è nata a Salonicco. Ma mi domandai se costui non fosse in preda ad una temporanea βλακεία dovuta a troppo κρασί, visto che mi conosceva da almeno sei mesi.


Qualche mese dopo, un cameriere del pub dove ci incontriamo di solito esclamò: "Ma io avevo sempre creduto che tu fossi italiano! Scopro adesso che sei greco!"

Secondo voi, io gli ho detto la verità?

Musica del giorno: Louis Vierne - Sinfonia per organo n. 1.

venerdì 13 settembre 2013

Compito in classe

La morte. Purtroppo è stata sempre tra i fenomeni naturali più diffusi. Parla di questo strano fenomeno che produce solo dolore tra le persone che ci stanno accanto, e di un avvenimento che spieghi le emozioni che hai provato in quell'occasione.
(Tema di italiano assegnato in una quarta Ginnasio in Calabria, menzionato da Luca Serianni nelle sue Pratiche di scrittura argomentativa.)

giovedì 12 settembre 2013

La colonna sonora della vita: autunno 1987

Ho già avuto modo di dire come Loretta Goggi fosse uno dei miei miti televisivi delle elementari. Devo avere ancora, da qualche parte, la foto autografata che lei mi mandò, con la sua esclamazione: "Felicità!"

(Dovevo essere un bambino particolarmente allegro, se un altro dei miei miti era Mike Bongiorno.)

La sigla finale di Ieri, Goggi e Domani, in onda nella stagione 1987/88, a lungo è stata Isolatamente.

Uno dei primi pezzi della premiata ditta Mogol & Gianni Bella: non male, per un bambino di neanche 8 anni, conoscere le parole anelito, asceta e frotta, vero?


Questo post partecipa all'iniziativa di Attimi di Letizia.

Rapporto dalla cartoleria

Un commentatore del post di Keiko di sabato scorso - Settembre andiamo, è tempo di... ricominciare - si era domandato se la Coccoina esista ancora.
Ebbene, ieri sono stato in cartoleria: c'è eccome! Non serve che chi ce l'ha la conservi come reliquia!
(E, adesso che ci penso, io non l'ho mai avuta.)


La gomma Pelikan BE20 (anch'essa tuttora prodotta), poi, non è esagonale, bensì ottagonale: ricordavo male anche io!

E questa? Io la uso ancora. Però ora non ci sono più i numeri stampati sulla parte sporgente. Che poi, 526 50: perché proprio questi? Dan Brown ci pensi, per la sua prossima fatica.

Buonanotte a tutti, specialmente a chi torna a scuola :-)

Canzone del giorno: Sandra - In The Heat Of The Night.

lunedì 9 settembre 2013

Bilinguismo forzato? No, grazie.

Su La 27esima ora, qualche giorno fa, la giornalista Grazia Maria Mottola raccontava della sua amica Lella: costei, partita più che mai decisa a voler far imparare alla figlia l'inglese fin dall'asilo, dopo appena un anno ha ritirato la piccola dalla scuola bilingue.
Vorrei che mia figlia si divertisse in una normale scuola italiana, senza lo stress di dover imparare una seconda lingua e l’incubo di scrivere in due lingue. Meglio un'infanzia facile e serena che la preoccupazione di non superare le elementari.
I commenti al post, in maggioranza, sono assai critici verso tale scelta. Qualcuno parla del solito provincialismo all'italiana, qualcun altro delle mamme iperprotettive, altri ancora della facilità con cui i bambini imparano le lingue.


Capisco le ragioni di queste critiche. Incontriamo sempre più di frequente ragazzi i quali, grazie alla diversa provenienza dei genitori, parlano due lingue fin dalla fanciullezza. Lingue che, con nonni o zii provenienti da altre nazioni ancora, possono diventare tre o addirittura quattro; ed è superfluo elencare i vantaggi che il plurilinguismo ha loro recato all'università o al lavoro: specialmente se una delle lingue materne è l'inglese.
Sulle riviste specializzate, ma anche sui quotidiani e sui siti dedicati all'educazione dei fanciulli, non si conta più il numero di articoli inneggianti al plurilinguismo.

È ovvio, pertanto, che le neo-mamme e i neo-papà, i quali magari con l'inglese hanno dovuto battagliare, desiderino dare ai loro figli le medesime opportunità dei ragazzi bilingui. Io stesso mi ritengo fortunato, avendo avuto un padre insegnante di inglese.

Tuttavia, io do ragione alla signora Lella, nel non voler far frequentare alla figlia la scuola bilingue. E le motivazioni sono tre.
  • La prima motivazione è socio-linguistica. Premetto che la realtà a cui penso è quella di una tradizionale famiglia italiana - che, nonostante tutto, è ancora il caso più frequente - che vive in una città italiana e con una rete di amicizie prevalentemente italiana, o quantomeno italofona.
    In un tale contesto, a pochi viene in mente che il bambino già cresce bilingue: con l'italiano e il dialetto della sua regione.
    Perché, giustamente, queste sono le lingue che sente in famiglia, a scuola e con gli amici. Lo stesso modo in cui cresce un bambino bilingue di due lingue "ufficiali" .
    Ma se mio figlio ha una famiglia italiana e amici italiani, o quantomeno italofoni, dove pratica l'inglese che sente a scuola? Dovremmo, io e mia moglie, parlargli in inglese? C'è chi lo fa, ma è del tutto innaturale, a mio avviso.
  • La seconda motivazione è psicologica. È vero che i bambini sono "spugne": imparare, per loro, è un gioco; e non si deve avere paura di spiegare loro cose difficili.
    Chi conosce un po' di Noam Chomsky, oltretutto, sa che diversi studi sostengono la sua teoria dell'apprendimento per dimenticanza: il neonato ha, innate, tutte le regole di tutte le possibili grammatiche, e dimentica tutte quelle che non sente. Come ha spiegato Andrea Moro l'anno scorso al Festival della Mente di Sarzana, gli errori grammaticali dei bambini sono regole in altre lingue.
    Entrambe queste considerazioni, ciò nonostante, non giustificano in alcun modo lo sfruttare la natura oltre il dovuto. Io temo che, in perfetta buona fede e con le migliori intenzioni, quei genitori che mandano il figlio alla scuola bilingue facendogli imparare una lingua che non appartiene alla sua nazione, né alla sua regione, né al suo contesto familiare, struca struca siano mossi da invidia, da esibizionismo nonché dal pregiudizio, durissimo a morire, per cui bisogna imparare da piccoli. Le stesse aberrazioni che intasano le classi di pianoforte con fanciulli che non sono minimamente interessati alla musica.
    Se mio figlio manifesterà il desiderio di imparare l'inglese perché vedrà i libri inglesi di mio padre - e miei - o perché vedrà me, o mia moglie, guardare film in inglese; o perché ci sentirà parlare inglese con i nostri amici britannici o americani, lo incoraggerò. Con un po' di energia se necessario, affinché vinca la timidezza o la pigrizia.
    Se sarà incuriosito dalla musica, sentendola in casa o altrove, lo incoraggerò a suonare uno strumento. Ma deve essere un incoraggiamento, appunto, non una forzatura.
    Mio padre sarebbe stato felicissimo di insegnarmi l'inglese, lui che lo parlava meglio degli inglesi - e non lo dico io, gliel'ha detto sir Richard Attenborough. Ma io mi vergognavo, e lui non insistette. E credo sia stato ancora più felice, nel vedermi impararlo da solo. Cominciando a 13 anni. Così come a 28 anni ho imparato il tedesco, e il greco a 31 (*). Come lo psicologo chitarrista quarantenne, io sono la prova che si può imparare anche da adulti, quando c'è interesse e voglia.
  • La terza motivazione è ideologica. Viviamo da anni in un Paese dove parlare inglese "fa figo". Un Paese la cui lingua ufficiale, pur mantenendo una solida base strutturale latina, è un colabrodo per le parole inglesi. Un Paese dove non l'insegnamento di una lingua straniera, ma l'insegnamento di quella lingua straniera, è obbligatorio fin dalle elementari. (Che tale insegnamento sia svolto orrendamente, è un altro discorso.) Avete fatto caso che, in tutto il post, ho sempre dato per scontato che la seconda lingua sia l'inglese? Mi sorprenderei già adesso se un bambino a un certo punto non maturasse la convinzione che l'inglese è superiore all'italiano: figuriamoci dovendo parlare, obbligatoriamente, in inglese in Italia! In barba ai principi di eguaglianza e di democrazia linguistica, nei quali io credo fortissimamente e nei quali educherò i miei figli. I miei figli non saranno il cavallo di Troia di coloro che vogliono farci diventare schiavi. O magari lo saranno, e io non potrò farci nulla, ma non potrò negare di aver lottato.
(*) Si noti il chiasmo.

Canzone del giorno: Nina Zilli - Per sempre.

mercoledì 4 settembre 2013

La mia finestra aperta sull'universo

Quando andavo ai campiscuola, negli anni del liceo, l'ultima sera era dedicata ad una veglia di preghiera. In stile Taizé: con i ritornelli cantati, intervallati da letture bibliche o riflessioni.

Stavamo seduti sull'asfalto, nel vasto cortile di una scuola: il Bearzi di Udine.
Di tanto in tanto un treno, che transitava rapido sui binari a poche decine di metri dall'istituto, rompeva il silenzio; ma era il terzo giorno di camposcuola: ormai non ci facevamo più caso.

Era la metà di giugno, e non ricordo una sera in cui il cielo non fosse stellato.

Ne sapevo abbastanza, di astronomia, per distinguere qualche costellazione. Sapevo che le stelle hanno diverse dimensioni; che stelle che ci appaiono vicine sono in realtà lontanissime; che se ci trovassimo in un diverso sistema stellare tutto avrebbe un diverso aspetto; che guardando il cielo, guardiamo il passato, considerati gli anni che impiega la luce per giungere fin qui.

In quel momento, quel cortile era la mia finestra aperta sull'universo.
Non nel senso dell'universo fisico, ma l'universum latino - il tutto, unito, non diviso - come latini erano i ritornelli che cantavamo.
Gli altri e me con loro. La natura e l'opera dell'uomo. La fede e la scienza.

Non mi illudevo di poter fare tutto o di poter conoscere tutto, ma credevo che la vita eterna, dopo la morte, fosse questo: che esiste l'eternità, e l'eterna gioia, perché infinite sono le cose da scoprire.


lunedì 2 settembre 2013

Settembre, e le impronte dei nostri antenati


Dopo la pioggia d'agosto che rinfresca il bosco, il tormentone annualmente ricorrente vuole il vero inizio dell'anno a settembre.
Ci sarebbero tutte le ragioni per farlo: non ultima, il fatto che l'anno scolastico/accademico/sociale già è organizzato così, e non ci sarebbe la rottura di dover scrivere 2013/14.

Tuttavia, mi piace pensare che, come la nostra lingua che come una spugna assorbe parole inglesi, ma le cui fondamenta sono solidamente latine, il nostro tempo ancora viene misurato come lo misuravano gli antichi Romani, dalla semina al raccolto, secondo il ciclo del Sole.

Anche il calendario rivoluzionario francese, pur iniziando a metà settembre, si basava sull'agricoltura.

domenica 1 settembre 2013

E-mail di un (futuro) professore (str***o)

Su La Lettura del Corriere della Sera, oggi, Beppe Severgnini ha deciso che la Lettera a una professoressa degli allievi della scuola di Barbiana necessita di un'integrazione, di diventare una E-mail a una professoressa.

  • Perla n. 1: La selezione è prerogativa dell’università. Alle elementari e alle medie — inferiori e superiori — bisogna scavare dentro i ragazzi e scovare le loro inclinazioni, correggendo le loro debolezze. Cosa significa che la selezione è prerogativa dell'università? Che la scuola deve promuovere tutti? E come può, un insegnante, scovare le inclinazioni degli studenti, con i curriculum bloccati e i programmi inamovibili, pena i genitori in rivolta?
  • Perla n. 2: La scuola superiore italiana, nel 2012, ha perso il 18 per cento degli iscritti. E sono pure troppo pochi, considerato che in prima liceo arrivano senza nemmeno sapere cos'è un dizionario di italiano, figuriamoci usarlo. (Italiano, Beppe, hai capito? Italiano, non inglese.)
  • Perla n. 3: Ma voi [insegnanti] siete le donne e gli uomini che devono creare gli italiani di domani. Per questo saremo insegnanti sempre domani, pagati semmai nella prossima vita?
  • Perla n. 4: Eppure si deve trovare il modo di utilizzare le scuole al pomeriggio. Lasciarle vuote è uno spreco. Caricare i ragazzi di compiti a casa — com’è ormai la norma, soprattutto nei licei — è un’alternativa crudele. Che crudeltà, eh? Talmente crudeli erano i miei professori che io sono ancora qua. (Eh, già.)