mercoledì 4 settembre 2013

La mia finestra aperta sull'universo

Quando andavo ai campiscuola, negli anni del liceo, l'ultima sera era dedicata ad una veglia di preghiera. In stile Taizé: con i ritornelli cantati, intervallati da letture bibliche o riflessioni.

Stavamo seduti sull'asfalto, nel vasto cortile di una scuola: il Bearzi di Udine.
Di tanto in tanto un treno, che transitava rapido sui binari a poche decine di metri dall'istituto, rompeva il silenzio; ma era il terzo giorno di camposcuola: ormai non ci facevamo più caso.

Era la metà di giugno, e non ricordo una sera in cui il cielo non fosse stellato.

Ne sapevo abbastanza, di astronomia, per distinguere qualche costellazione. Sapevo che le stelle hanno diverse dimensioni; che stelle che ci appaiono vicine sono in realtà lontanissime; che se ci trovassimo in un diverso sistema stellare tutto avrebbe un diverso aspetto; che guardando il cielo, guardiamo il passato, considerati gli anni che impiega la luce per giungere fin qui.

In quel momento, quel cortile era la mia finestra aperta sull'universo.
Non nel senso dell'universo fisico, ma l'universum latino - il tutto, unito, non diviso - come latini erano i ritornelli che cantavamo.
Gli altri e me con loro. La natura e l'opera dell'uomo. La fede e la scienza.

Non mi illudevo di poter fare tutto o di poter conoscere tutto, ma credevo che la vita eterna, dopo la morte, fosse questo: che esiste l'eternità, e l'eterna gioia, perché infinite sono le cose da scoprire.


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