Oggi sono particolarmente incazzato, e anche un po' fascista.
Ce l'ho con Giovanni Azzone, rettore del Politecnico di Milano; con il senato accademico del medesimo istituto e con tutti i loro portaborse che li applaudono, primo su tutti il ministro Profumo. Capre (omaggio a Vittorio Sgarbi), ignoranti e venduti al miglior offerente.
Per decisione degli illustrissimi summenzionati,
dal 2014 i corsi di laurea magistrale del Politecnico saranno interamente in lingua inglese.
Ebbene: se già vi stavate preparando il predicozzo sulla realtà dei fatti e sull'inglese ormai lingua internazionale, siete pregati di cambiare blog. Primo: se mi sfidate sull'inglese, sarei capace di rompervi anche la falange del mignolo del piede. Secondo: non ho voglia di discutere con voi. Non oggi.
La lingua italiana è una delle più amate al mondo. Non c'è un solo straniero - e ne ho conosciuti tanti, credetemi - che non la senta come
musica. E noi che facciamo? Arriva uno con un lieve accento britannico, e noi
yessir! yessir! ai spikke perrefeccheteli inglisce, sir!
Molti stranieri che arrivano in Italia, e che frequentano ambienti accademici, non imparano mai l'italiano, perché tutti si rivolgono loro in inglese.
Accusiamo di snobismo i francesi perché traducono tutto (gli spagnoli no però: chissà come mai), e nel frattempo buttiamo nel cesso la nostra lingua, figlia di una delle civiltà più gloriose di tutta la storia dell'umanità, in favore di parole inglesi che magari non hanno nemmeno il significato che noi crediamo. C'è gente che si sente figa a dire
skill anziché
abilità. Non so se siano più insopportabili loro o gli ex classicisti che ti sommergono di parole latine, o meglio ancora greche, per metterti a tacere.
C'è chi dice che la scienza è un linguaggio universale, che si serve di una lingua solo per essere compresa dagli uomini. Balle. Se fosse vero, tutte le pubblicazioni partirebbero alla pari e sarebbero giudicate solo in base al contenuto. Al contrario, come denunciato da Gianluigi Beccaria sabato scorso su
Tuttolibri, solo la lingua rende una pubblicazione in inglese degna di maggiore considerazione rispetto a una in italiano.
Non è in discussione la necessità di imparare l'inglese. È vero, la quasi totalità della letteratura scientifica è in inglese. Ma se io, docente, devo insegnare una materia in italiano, faccio lo sforzo di trovare le parole giuste. Arricchisco il mio vocabolario e lo faccio arricchire ai miei studenti. Questa decisione del Politecnico di Milano, che a quanto pare è adottata
anche da altri istituti, stabilisce che l'italiano non è adatto a parlare di scienza. In barba a de Saussure, e alla potenzialità di qualsiasi lingua, intesa come sistema composto da una morfosintassi, uno spazio fonologico e un vocabolario, di esprimere qualsiasi concetto.
Le lingue muoiono quando i parlanti si sentono degradati ad usarle. La cultura di un popolo è veicolata dalla sua lingua. Muore la lingua, muore anche la cultura. Ha ragione chi dice che, per immergersi veramente nel pensiero classico, occorre conoscerne le lingue. Non ditemi che la cultura è ormai cosmopolita, lo so già. Ma la ricchezza di una cultura globale sta nella sua pluralità, come un disegno multicolore.
Ma l'italiano, c'è qualcuno che veramente lo ama? Meglio: l'Italia, c'è qualcuno che veramente la ama?
Mi consolano, per ora, il 55% e il 60% di contrari all'insegnamento in inglese sui sondaggi rispettivamente di
Sole 24 Ore e
Stampa. Ma rispondetemi anche voi; significativamente prima degli Europei di calcio, grazie.
Canzone del giorno: David Guetta feat. Sia -
Titanium.