Avvertenza: quanto segue rivela la trama dell'opera.
L'ultimo spettacolo della rassegna Una poltrona per due, al Piccolo Teatro Don Bosco di Padova, è stato una produzione propria: Forte... piano... di Andrea Nao.
Aperto il sipario, con un clavicembalo in sottofondo, ci troviamo di fronte ad una storica (Giuliana Casadei) che ci introduce nel contesto in cui si svolgono gli eventi, e una vivace esperta d'arte (Margherita Ghisi) che tenta continuamente di fare digressioni sull'architettura dei palazzi della città. I siparietti con le due studiose e la loro compagnia di musicisti si ripeteranno ad ogni cambio di scenografia, chiusi ogni volta dal Fuori! della severa storica.
Siamo nella Padova di fine '600; il giovane Bartolomeo Cristofori (Marco Avventi) si divide tra il lavoro alla bottega del padre Giovanni, noto costruttore e riparatore di strumenti musicali, e lo studio dell'astronomia - la facoltà è stata fondata da pochi anni - con l'amico Nicolò (Denis Varotto). Le conversazioni tra i due si soffermano spesso sulla politica, sui rapporti tra scienza e religione - è passato appena mezzo secolo dal processo a Galileo Galilei, che i satelliti di Giove li aveva osservati proprio da Padova - e sulla donna di cui Bartolomeo è innamorato: Isabella Frimani (Silvia Toniato), figlia di Bernardo (Stefano Giurisato) e Laura (Enrica Ruffatti), nobili affamati di potere, pronti a usare la loro unica figlia femmina per scalare i vertici della Repubblica di Venezia: l'hanno promessa in sposa, difatti, al rampollo Alvise Gracenigo (anch'egli interpretato da Stefano Giurisato).
L'intreccio è perciò il più classico dei triangoli amorosi: l'entusiasmo di Bartolomeo è soffocato dalla differenza di rango sociale, con Isabella che, pur amandolo, nemmeno ipotizza di andare contro le tradizioni della famiglia; a distanza di appena mezzo secolo dal processo a Galileo Galilei già fa fatica, lei devotissima, ad accettare la mentalità scientifica di Bartolomeo - divertente la scena del loro incontro clandestino nel cortile di casa Frimani, con Isabella in estasi di fronte alla bellezza del cielo stellato, Bartolomeo che osserva e pensare che è tutto descrivibile con la matematica! e Isabella ecco, devi sempre rovinare la poesia!
Si avvicina la data del matrimonio tra Isabella e Alvise, e Bartolomeo (ma va'!) viene ufficialmente invitato a suonare il clavicembalo alla cerimonia. Alvise ha la fama di virtuoso dello strumento - è l'ideale per accompagnare nostra figlia, dice la signora Firmani - e Bartolomeo, spinto anche da Nicolò, vuole tentare il tutto per tutto dimostrandosi più bravo di lui.
È lì che gli viene l'idea di modificare il clavicembalo, sostituendo i salterelli con i martelletti, permettendo così di variare l'intensità del suono; per questo il nuovo strumento viene chiamato fortepiano, abbreviazione di clavicembalo con il forte e con il piano. (Anche se in realtà non si tratta più di un clavicembalo; sulla base di esso sarebbe stato costruito l'odierno pianoforte.) È da qui che inizia ad intervenire - è un fuori programma - Francesca Bacchetta, che al fortepiano esegue alcuni brevi pezzi.
Isabella, dopo un vano tentativo di convincere sua madre di non farla sposare Alvise, la notte prima delle nozze giunge di nascosto alla bottega dei Cristofori. Lì Bartolomeo le fa sentire per la prima volta il suono del fortepiano: non solo il brano è stato composto per lei, ma pure lo strumento è stato costruito apposta per lei.
Isabella rimane con il suo amato tutta la notte, la notte più bella della sua vita, come gli dirà appena prima di lasciarlo. Bartolomeo più volte la scongiura di fuggire con lui, ma invano: sul far del giorno, Isabella si affretta per non farsi scoprire dai suoi genitori.
La festa ce la racconta Bartolomeo, di ritorno. Il fortepiano l'ha bruciato: dopo che tutti i presenti erano stati stregati da questa rivoluzionaria sonorità, il vecchio Gracenigo avrebbe voluto comprarlo, e Bartolomeo ha preferito darlo alle fiamme che al padre di colui che gli aveva sottratto l'amata. Bartolomeo ricorda con commozione il momento in cui ha dedicato il suo pezzo ad una donna davvero bella, e Isabella, che era stata triste per tutta la cerimonia, per un attimo lo ha guardato negli occhi.
Il seguito vede Bartolomeo Cristofori alla corte del principe Ferdinando de' Medici. Il fortepiano è ora in auge, e sta di mano in mano sostituendo il clavicembalo. Bartolomeo non avrebbe mai più visto Isabella Gracenigo, e sue notizie gli sarebbero giunte più di dieci anni dopo, tramite Nicolò. E non si sarebbe trattato di notizie buone.
Nicolò, nella scena finale, porta a Bartolomeo un tasto del primo fortepiano, sopravvissuto all'incendio, che Isabella ha sempre conservato.
Prima di togliersi la vita, distrutta dalla disperazione.
La storia, ovviamente, è molto diversa: l'unica cosa vera, a parte l'invenzione dello strumento, è l'invito alla corte fiorentina. Non credo però che Andrea Nao intendesse inscenare uno spettacolo biografico dell'illustre patavino. Si tratta di una commedia ben costruita, divertente quando deve; un progetto, quello della compagnia del Piccolo Teatro, da portare avanti.
Alcune scelte, tuttavia, sono più che discutibili.
Innanzitutto: nei sopra menzionati siparietti con il complesso cameristico, sono spiegati - mimandoli - i meccanismi che producono il suono nel clavicembalo e nel fortepiano. Ma se l'intento è lodevole, il risultato lascia molto a desiderare: le spiegazioni vogliono essere complete, ma non possono essere troppo lunghe dal momento che non siamo a lezione di storia della musica; appaiono di conseguenza affrettate, quasi affannose; dubito che un profano abbia capito veramente come gli strumenti funzionano.
Poi, le discussioni "accademiche" tra Bartolomeo e Nicolò - o Bartolomeo e Isabella: troppo lunghe e ridondanti. Non serviva insistere tanto, che so, per mostrare che Bartolomeo crede che scienza e fede non siano in contrasto (come, del resto, è nella realtà, ndr). Sono meglio caratterizzati, paradossalmente, i personaggi secondari - per esempio Giovanni Cristofori, padre del protagonista - per i quali si lascia il giusto all'intuito dello spettatore.
Ancora, le scene d'amore tra Bartolomeo e Isabella: il copione sembra più adatto al set di un telefilm che a un palcoscenico; non è necessariamente un fatto negativo, ma lo diventa se la recitazione rimane, per l'appunto, teatrale.
Infine, la conclusione. Non dico che io volessi l'happy end - anche se, come Ken Follett in Una fortuna pericolosa, Nao avrebbe potuto inventarsi una morte improvvisa di Alvise - ma quella dedica postuma, a Isabella, del brano che Bartolomeo le aveva composto, mentre il sipario si chiude, francamente fa venire il latte alle ginocchia.
Non so se qualcuno della compagnia leggerà mai questa "recensione" ; se ciò dovesse accadere, spero non la prenda troppo a male: in caso, consideri che io sono un cultore del clavicembalo ;-)
Canzone del giorno: Evanescence - Imaginary.
beh in bocca al lupo allora!!!XD ..ke poi tra fisica,matematica e simili...insomma materie scientifike nn capisco nienteeeeeeeeee!!!!!....è + forte d me!!!ihihih!!!!
RispondiElimina:)
RispondiEliminacarissimo, innanzitutto complimenti per l'ottima esposizione, devi essere stato davvero attento..vorrei se mi permetti fare qualche precisazione.
RispondiEliminacirca la veridicità dei fatti, di bartolomeo cristofori si sa molto poco, in particolare degli anni padovani, e quel poco che si sa è stato rispettato, ove mancavano notizie il regista (e autore del testo) ha immaginato, per cui non credo si possa parlare di fasullità. il teatro è immaginazione, e io trovo sia stato molto bello e significativo inventare una storia che si accordasse con quel poco che si poteva saper per certo (le ricerche ante scrittura sono durate più di un anno).
in secondo luogo la tua critica sulle spiegazioni dei meccanismi del forte piano e del clavicembalo; come hai detto tu il rischio era proprio di essere noiosi, e così nn è stato, io credo, visti gli apprezzamenti del pubblico e in particolare della fortepianista, che si è complimentata per il nostro lavoro.
i gusti di ognuno di noi sono diversi, per fortuna, oserei dire..tuttavia quella del piccolo è una compagnia di teatro amatoriale, cmposta da studenti che hanno una passione in comune, se cerchi una recitazione ineccepibile forse dovresti frequentare altri teatri..io trovo che l'impegno che abbiamo messo e il risultato d'insieme valgano qualcosa di più di quello che hai scritto..personalmente mi sono emozionata, e credo di essere stata sincera sulla scena, perchè la cosa più bella del teatro è proprio poter sentire, vivere un'altra sensibilità e delle emozioni che altrimenti nn ci apparterrebbero mai.
con sincerità,
isabella
Ciao Isabella (o Silvia? :-)),
RispondiEliminainnanzitutto grazie per il commento, confesso che aspettavo che qualcuno della compagnia scoprisse questo mio reportage :-)
Ti ringrazio anche per le precisazioni riguardo alla realtà storica degli anni padovani di Bartolomeo Cristofori; quello che volevo dire, comunque, è solo che la storia raccontata ha molto di immaginario, che non deve essere cioè presa come libro di testo.
Per quello che riguarda le spiegazioni dei meccanismi degli strumenti, sono il primo che può testimoniare l'apprezzamento del pubblico in merito - i mimi erano molto suggestivi - tuttavia anche io, che pure (nonostante, ahimè, non suoni) conosco bene tali meccanismi, faticavo a seguire, per cui mi sono messo nei panni di un profano.
Non metto in dubbio che tu e gli altri abbiate dato il meglio di voi - di compagnie amatoriali ne ho viste molte, e intendo continuare a vederle, visto che spesso, come nel vostro caso, impegno e passione sono notevoli e i risultati si vedono - e anche se dal mio post può sembrare il contrario, ho apprezzato molto lo spettacolo. Semplicemente mi è parso che l'autore dei testi (cioè Andrea Nao stesso) per le scene d'amore abbia pensato più al cinema che al teatro, ecco il perché del "contrasto" .
Vi faccio un in bocca al lupo per le eventuali repliche, e per i prossimi progetti che avete in cantiere.
Buona domenica :-)
Marco
Ciao Marco, inanzitutto ti ringrazio per aver dedicato dello spazio al nostro spettacolo.
RispondiEliminaE poi perché io sono dell'idea che commenti, critiche e osservazioni sono molto importanti per qualsiasi teatrante.
La storia è assai immaginaria? Sì, è vero. Ed è una scelta voluta. Questo è il modo che prediligo per raccontare una storia. E continuerò a seguire questa mia strada. Ho scritto un'opera che racconta la vita di Caravaggio a Roma, narrata dalle prostitute che lui ha frequentato, amato e dipinto. Poi sto lavorando ad una mia versione della leggenda di Robin Hood e una sul mito di Elena.
Storicamente qualche studioso si metterà le mani fra i capelli e mi chiamerà per chiedere spiegazioni. Ma il teatro deve alludere, non illudere. Devo portare lo spettatore dentro un racconto, non illuderlo che sta leggendo un libro di storia.
Questa è la mia scelta, che può certamente piacere o non piacere.
Il mio teatro è troppo cinematografico? E' una critica che mi sento fare spesso. Molte scene, spesso veloci, recitazione diretta e il più naturale possibile, ecc...
Anche questa è una scelta, penso che si addica al meglio al modo con cui io voglio rappresentare qualcosa. Pensa che quando scrivo sceneggiature cinematografiche, vengo criticato perché appaiono troppo teatrali (molto spazio ai dialoghi, poca azione, molti interni, ecc...).
Grazie ancora per il tuo commento.
Ti aspetto al prossimo spettacolo che porteremo in scena.
Andrea
www.andreanao.it