mercoledì 20 febbraio 2013

Adrenalina in corpo

Forse mi mancheranno, le biciclettate alle 4 di notte. Non a seguito di feste o serate con gli Erasmus: quelle al massimo sono alle 2. Queste delle 4, o delle prime luci dell'alba, seguono nottate in ufficio, a terminare dei calcoli oppure lo studio di un articolo (*), oppure, come nell'ultimo caso, la stesura di una relazione.

Chi mi è stato vicino in quest'ultimo mese mi ha sentito spesso lamentarmi. È vero, lo riconosco e mi dispiace se qualcuno si è rotto le scatole. Pensavo, con tesi e laurea, di aver superato certi miei complessi che mi avevano rovinato gli anni di studio; ma il dottorato è un'altra cosa. E forse non fa per me.


Voglio la mia aula, la mia lavagna (di ardesia) e i miei scolari. Io sono felice quando insegno: quando faccio tutorato all'università, quando faccio la guida al museo di Storia della Fisica per le scolaresche, che seguo anche in un piccolo laboratorio didattico sulla caduta dei gravi o sull'elettricità. A scuola, per ora sono riuscito a fare solo un mini-corso di recupero di matematica. Mi hanno chiamato svariate volte per supplenze, ma ciò sarebbe voluto dire interrompere il progetto del dottorato. Ne avevo accettata una, nell'ottobre del 2011 - alla fine, cioè, del mio primo anno di dottorato - ma ho approfittato di un intoppo burocratico per rinunciare, all'ultimo momento: per i lutti di cui tutti voi sapete, non avevo avuto la testa per fare nulla, fino ad allora; avevo accettato per avere un po' più di soldi, ma mi fu fatto grosso modo del terrorismo, facendomi credere che se avessi accettato avrei dovuto lasciare il dottorato.

E sapete cos'è che mi fa più rabbia? Che adesso mi chiamano continuamente per supplenze, mentre nell'anno tra laurea e dottorato non avevo ricevuto nemmeno una convocazione! Tant'è vero che concorsi per il dottorato - dopo aver ripetuto per anni che, una volta laureato, l'università mi avrebbe visto al massimo col telescopio spaziale Hubble - ormai rassegnato all'idea che la scuola fosse un binario morto, e di dover accantonare il sogno che ho da quando ero adolescente.

Non è che non mi piaccia l'attività dello scienziato. Né che non mi piaccia più la fisica, nonostante i miei lamenti di cui al secondo paragrafo di questo post. Il mio era semplicemente l'odio di chi deve fare le cose per forza. Quando vedo un libro di fisica o di matematica, mi viene voglia di leggerlo. Forse ce l'ho, la testa per fare il ricercatore; ma non sopporto più la sensazione di dover sempre dimostrare qualcosa a qualcuno. L'ho provata per tutti gli anni di studio e la sto riprovando adesso. Evitare anche di incrociare, ogni tanto, lo sguardo dei colleghi: perché li vedo più appassionati, più "dentro" l'attività, e quindi più degni di essere chiamati scienziati.

Sto leggendo Le due culture, il famoso pamphlet che Charles Percy Snow pubblicò nel 1963, e vorrei dirgli che non è solo. Nelle prime pagine, lo scienziato (di professione) e scrittore (per hobby) inglese afferma che gli sembra di attraversare un oceano, quando passa dalla compagnia degli scienziati a quella dei letterati.

Gli scherzi del destino: ho protestato per tutti gli anni di scuola per lo strapotere delle discipline umanistiche, anche al liceo scientifico; poi, già al primo anno nelle aule di Fisica, mi sentii fuori posto tra i miei compagni, perché coltivavo svariati interessi al di fuori delle scienze, e non riuscivo a conciliarli. Sto giungendo alla malinconica conclusione che le due culture siano inconciliabili per natura. Ma di questo parlerò un'altra volta.

Voi come vi sentite, o vi sentivate, dopo un esame?
Io facevo sempre grandi progetti, nei giorni immediatamente precedenti: gite, feste, e via discorrendo. E invece, dopo la nuova riga sul libretto, sentivo un gran mal di testa.
Almeno gli ultimi anni non avevo più la paura della matricola, ma sentivo sempre come un'energia pronta a sfogarsi, ma incontrollabile. Come un attacco di iperattività, che mi portava dritto in libreria, a comprare il testo per l'esame successivo.

Stanotte, tornato a casa, l'adrenalina era ancora in corpo e, a letto, inviavo messaggi, e due volte cambiai il libro che tenevo in mano. Per poi crollare dopo due pagine; proprio come con il testo per l'esame successivo.

Oggi pomeriggio mi attende Venezia, e la laurea in lettere di una mia amica. Ho voglia di sentir parlare di qualcosa di diverso, oggi.
Ma qual è stato il mio primo pensiero, al risveglio? Controllare la posta per vedere se il mio supervisore volesse delle correzioni. Ma è ovvio!

Musica del giorno: Johannes Brahms - Sinfonia n. 1.

(*) Stavo per scrivere piuttosto che lo studio di un articolo. Mi sono trattenuto all'ultimo, ma ciò vuol dire che anche io mi sto rassegnando all'idea del piuttosto che con valore avversativo. Triste, molto triste.

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