Le tabelline; la poesia di Natale da declamare alla recita scolastica o al cenone davanti al parentado in estasi; la filastrocca per ricordare i nomi delle Alpi (ma con gran pena le reca giù) o quella per ricordare i verbi irregolari latini (dic, duc, fac, fer presero un martel, e se non fosse stato per volo, vis avrebbero ucciso fio, fis!); oppure le battute più belle dei film cult (... potrebbe provocare un paradosso temporale del continuum tempo-spazio distruggendo l'intero universo!). Ognuno ha le sue, insomma.
Detto ciò, non vi sorprenderete se io, malato di ciclismo e irrimediabilmente innamorato della Francia, a 15 anni mi ero imparato a memoria un servizio di Enzo Barlocco su Laurent Jalabert, all'indomani della vittoria nella Milano-Sanremo del '95, sulla mitica TMC.
Gli amici della casa di Corvonero lo conoscono fin troppo bene (con una, in particolare, è diventato la nostra parola d'ordine!), ma domani è il suo compleanno, quindi è giunto il momento di declamarlo pubblicamente.
Atmosfera: Et maintenant que vais-je faire de tout ce temps, que sera ma vie...
Un corridore dal volto triste, taciturno e schivo non sprizza certo sicurezza; tutto l'opposto dell'immagine del velocista consacrata dalle cronache: Laurent Jalabert, nato a Mazamet il 30 novembre 1968, almeno fino alla vittoria nella recente Milano-Sanremo è sembrato l'emblema vivente della contraddizione. Al punto da soffrire nelle volate di gruppo per poi andare a vincere, lui velocista, una tappa di montagna alla Vuelta: Lagos de Covadonga, arrivo classico da scalatore.... Je n'ai vraiment plus rien à faire, je n'ai vraiment plus rien...
Irrimediabilmente condannato ad allungare il nutrito elenco dei talenti francesi mai completamente espressi, come Jean-François Bernard, partito come delfino di Hinault, ritrovatosi lo scorso anno a fare il gregario di Indurain, o come Gilles Delion: grandi promesse non mantenute.
È vero che Jaja, come lo chiamano in Francia, ha nel suo palmarès 51 vittorie, ma poche nelle corse veramente importanti: piuttosto, la sua carriera è costellata da una serie incredibile di piazzamenti d'onore ai grossi appuntamenti. Secondo nel '92 al mondiale di Benidorm dietro Bugno, secondo l'anno prima in coppa del mondo dietro Fondriest: in poche parole, un buon corridore ma non un campione.
Lo scorso anno, per la verità, sembrava finalmente l'anno buono: 7 vittorie alla Vuelta e primo nella classifica a punti, si accingeva a disputare il Tour da protagonista per le vittorie di tappa e per la maglia verde, da lui già vinta nel '92. La sfortuna lo eliminò brutalmente dalla corsa ad Armentières, a seguito di una rovinosa caduta causata da un gendarme fotografo, che coinvolse tra gli altri Nelissen e Fontanelli. Un incidente pauroso, che poteva compromettergli la carriera: diverse fratture al volto, quattro denti lasciati sull'asfalto.
Ma forse proprio da questa avventura è nato il nuovo Jalabert, anche se i 6 secondi posti e i 2 terzi del '95 sembravano ricalcare i comportamenti degli anni scorsi. Poi, però, è venuta la Parigi-Nizza vinta in maniera netta, prologo ad una trionfale Milano-Sanremo.
Ora probabilmente Laurent Jalabert ha finalmente risolto le sue contraddizioni: i francesi esultano, ma lui, fedele a se stesso, è ritornato alla vita di sempre, riservata, da tranquillo casalingo, nella sua Mazamet, nel sud della Francia, in attesa di ricaricarsi per nuovi trionfi.
Non lo nascondo: mentre lo scrivevo, avevo i brividi, così come ogni volta che sento la canzone di Gilbert Bécaud - anzi, lì piango come una fontana. Dottore, c'è una cura?
Non importa: anche se c'è, non la voglio.